A più di due anni di distanza dalla contestata riscrittura dell’art. 4 St. lav., il disposto è tuttora ostaggio delle contrapposizioni ideologiche che ne ostacolano la semplice interpretazione letterale. La nuova formulazione è stata accusata di avere “alleggerito” i limiti ai controlli sui lavoratori. Tale giudizio deve tuttavia fare i conti con la riforma della normativa sulla privacy con cui la disposizione è già sintonizzata in forza del rinvio contenuto nel suo terzo comma.
In verità la disposizione, oltre a prevedere che gli strumenti “utilizzati per rendere la prestazione lavorativa” (per la individuazione dei quali si veda la Circ. 2/2016 dell’Ispettorato del Lavoro) sono esclusi dalla regola del controllo sindacale/ amministrativo preventivo, ha il merito di aver chiarito che “le informazioni raccolte sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro” aggiungendovi la condizione “che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196”. Qualsiasi utilizzazione delle informazioni assunte presuppone dunque la compliance con la normativa di tu tela della privacy, oggi indubbiamente rafforzata grazie alla riforma operata dal Regolamento Europeo 2016/679.
Le nuove regole (forma specifica per l’informativa; obbligo di redigere il c.d. disciplinare interno per l’utilizzo della posta elettronica dei dipendenti; garanzie in ordine alla gestione della posta dei dipendenti assenti e degli ex dipendenti; obbligo di segnalazione in caso di data breach) impongono al datore una particolare cautela nel trattamento dei dati dei propri dipendenti e sono senz’altro in grado, anche in considerazione della gravità delle sanzioni, di compensare la tanto criticata assenza del controllo sindacale/ amministrativo preventivo.
La sussistenza di questo doppio canale di tutela è stata di recente confermata anche dall’Ispettorato del Lavoro (Circ. n. 5 del 19.2.2018) che, nell’individuazione dei criteri per stabilire la legittimità dell’installazione di apparecchiature per la videosorveglianza, fa espresso riferimento ai principi propri della disciplina sulla privacy (legittimità e determinatezza del fine perseguito, nonché della sua proporzionalità, correttezza e non eccedenza).