La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13748 del 22 maggio 2025, ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa di una lavoratrice che aveva rivolto ripetuti commenti a sfondo sessuale a un collega, creando un ambiente di lavoro ostile e lesivo della dignità del dipendente. La decisione ribalta la precedente sentenza della Corte d’Appello di Milano, che aveva giudicato sproporzionata la sanzione espulsiva, sostenendo che il datore di lavoro avrebbe dovuto adottare misure disciplinari meno severe prima di procedere al licenziamento.
La Suprema Corte ha invece sottolineato che le molestie sessuali sul luogo di lavoro, anche se consistenti in frasi o attenzioni indesiderate, ledono la serenità e la salute psicofisica del lavoratore, imponendo al datore di lavoro un obbligo di tutela ai sensi dell’art. 2087 del Codice Civile. Inoltre, la condotta della lavoratrice risultava in contrasto con il codice di condotta aziendale e con il regolamento interno, che prevedevano espressamente il rispetto della dignità personale e il divieto di comportamenti molesti.
La Corte ha evidenziato che, per valutare la giusta causa di licenziamento, è necessario considerare se la condotta del dipendente abbia compromesso in modo irreparabile il rapporto fiduciario con il datore di lavoro, tenendo conto della gravità dell'azione, delle circostanze in cui è avvenuta e dell'impatto sull'ambiente lavorativo. Nel caso specifico, le molestie erano state reiterate e avevano avuto luogo alla presenza di altri colleghi, aggravando ulteriormente la situazione.
In conclusione, la Cassazione ha ritenuto che il licenziamento fosse proporzionato e giustificato, in quanto volto a tutelare la dignità e la salute dei lavoratori, nonché a garantire un ambiente di lavoro rispettoso e sicuro.