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Licenziamento legittimo se nel periodo di malattia si svolge attività che ritarda la guarigione

La Cassazione ha confermato la valutazione dei giudici di merito che, appurato lo svolgimento da parte del lavoratore in malattia di un’attività che ne aveva ritardato la guarigione, avevano affermato la legittimità del licenziamento per giusta causa
10/08/2017
La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro civile, con la sentenza del 17 luglio 2017 n. 17636, mediante la quale ha rigettato il ricorso e confermato quanto già deciso dalla Corte d’appello di L’Aquila, ha stabilito che è legittimo il licenziamento disciplinare intimato al lavoratore nel caso in cui sia dimostrato da parte sua lo svolgimento, durante il periodo di malattia, di un'attività che ne ritardi la guarigione.
 
La corte d’appello dell'Aquila con sentenza del 2014, aveva confermato la sentenza di primo grado, che aveva respinto la richiesta di impugnazione del licenziamento disciplinare intimato da una società a un suo dipendente, per avere questi lavorato nei campi (sia svolgendo lavoro fisico sia conducendo mezzi agricoli) durante il periodo di assenza dal lavoro per malattia in seguito ad un'operazione al menisco, così ritardandone la guarigione. La Corte territoriale ribadiva la dipendenza causale del ritardo nella guarigione dalla prestazione della suddetta attività (in particolare consistita nella legatura di viti e nella conduzione di un mezzo agricolo), accertata dal C.t.u. medico-legale. 
 
Nel 2015 il lavoratore ricorreva in Cassazione adducendo diversi motivi. Tra questi:
  • violazione e falsa applicazione degli artt. 437 e 134 c.p.c. per mancato esercizio dei poteri istruttori officiosi in ordine all’inesistenza di aggravamento a carico del ginocchio destro del lavoratore per attività svolta durante il periodo di malattia; 
  • manifesta illogicità della sentenza per la censurata prestazione di attività agricola durante la malattia del lavoratore e la mancata, neppure parziale, al datore di lavoro peraltro al di fuori della contestazione disciplinare;
  • violazione e falsa applicazione degli artt. 7 I. 300/1970, 2106 e 2119 c.c. per difetto di proporzionalità tra addebito contestato e licenziamento.
La Corte di Cassazione, con la citata sentenza n. 17636/2017 ha ritenuto alcuni motivi inammissibili ed altri infondati ed ha rigettato il ricorso.
 
In particolare, la Suprema Corte ha ritenuto inammissibile il primo motivo citato, in quanto è noto come nel rito del lavoro, il mancato esercizio da parte del giudice dei poteri ufficiosi ai sensi dell’art. 421 c.p.c., preordinato al superamento di una meccanica applicazione della regola di giudizio fondata sull’onere della prova, non sia censurabile con ricorso per cassazione, qualora la parte non abbia investito lo stesso giudice di una specifica richiesta in tal senso, indicando anche i relativi mezzi istruttori (Corte di Cassazione, 12 marzo 2009, n. 6023; Corte di Cassazione, 23 ottobre 2014, n. 22534).E ciò non risulta nel caso di specie.
 
Inoltre, la Cassazione ritiene infondato il motivo relativo alla illogicità della sentenza in quanto la Corte territoriale ha reso una chiara e congruente giustificazione dell’aggravamento della condizione patologica del lavoratore per effetto dell’attività lavorativa prestata nel periodo di malattia, senza alcuna intrinseca contraddittorietà.
 
Infine, i giudici di legittimità hanno considerato infondato anche l'argomento della non proporzionalità tra addebito contestato e licenziamento, ritenendo che la Corte di Appello abbia correttamente valutato l'addebito, considerandone la portata oggettiva e soggettiva, le circostanze concrete nelle quali sono stati commessi i fatti e l’intensità dell’elemento intenzionale.

 
 




 
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