1) «non avevano l’obbligo di effettuare la prestazione lavorativa e il datore di lavoro non aveva l’obbligo di riceverla». L’obbligo di effettuare la consegna discendeva dalla circostanza che «i contratti sottoscritti dai ricorrenti [...] prevedevano la corresponsione di un compenso orario (€ 5,60 lordi all’ora): è quindi logico che i ricorrenti fossero tenuti a fare le consegne che venivano loro comunicate nelle ore per le quali ricevevano il compenso»;
2) i «nuovi strumenti di comunicazione» quali «e-mail [...] internet[...] apposite “app” dello smartphone» sono stati utilizzati per dimostrate esigenze di coordinamento e così in particolare:
- la determinazione di luogo e di orario di lavoro;
- la verifica della presenza dei rider nei punti di partenza;
- le telefonate di sollecito e rilevazione della posizione del rider finalizzate al rispetto dei tempi di consegna pattuiti.
Sono risultati esclusi nei fatti il «costante monitoraggio della prestazione», l’obbligo di seguire percorsi predefiniti e di prolungare l’orario di lavoro.
3) A proposito del potere disciplinare, é risultata dimostrata l’assenza di sanzioni rispetto a quanti non si presentavano ai turni già confermati utilizzando la funzione swap oppure senza avvisare (cd. no show);
«L’esclusione dalla chat aziendale o dai turni di lavoro non può [...] essere considerata una sanzione disciplinare».
4) Esclusa la violazione delle norme antinfortunistiche (art. 2087 c.c.).
5) Sul controllo a distanza il Tribunale ha ritenuto «che le applicazioni dello smarthphone venivano utilizzate dai ricorrenti per rendere la prestazione lavorativa e, in quanto tali, non richiedevano il preventivo accordo con le rappresentanze sindacali» ai sensi del nuovo art. 4 SL.
6) Con riguardo alla privacy ha ritenuto esauriente l’informativa sottoscritta dai riders al momento della stipulazione del contratto di collaborazione.
In allegato: la sentenza del Tribunale di Torino