Il datore di lavoro ha licenziato per inabilità al lavoro una dipendente (invalida al 100% e portatrice di handicap in situazione di gravità) pur avendo assunto, in epoca di poco anteriore al licenziamento, altra lavoratrice in mansioni compatibili con lo stato di salute della dipendente licenziata.
L'assunzione disposta poco prima del licenziamento era peraltro correlata alla prassi aziendale di assumere i familiari dei lavoratori dimissionari. Nel caso de quo, il datore aveva infatti assunto la figlia di altra dipendente dimessasi.
I giudici di merito hanno annullato il licenziamento per violazione dell'obbligo di repechage ritenendo che, verificatasi la scopertura di organico a seguito delle dimissioni, il datore di lavoro avrebbe dovuto assegnare le relative mansioni alla lavoratrice invalida anziché assumere la figlia della dimissionaria.
Con ciò la Corte di appello ha verificato la disponibilità di posizioni di lavoro cui adibire la lavoratrice inabile (c.d. repechage) in un momento anteriore a quello di irrogazione del licenziamento.
Tale tempistica di verifica è stata censurata dalla Suprema Corte che ha richiamato i seguenti principi in materia di recesso per inabilità sopravvenuta:
- l'inabilità di per sé non consente il recesso dovendo il datore di lavoro comunque verificare la possibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni, di pari livello o di livello inferiore;
- in tale onere di ricollocazione non può però imporsi al datore di lavoro di procedere a modifiche delle proprie scelte organizzative.
Alla stregua di tali principi la Suprema Corte ha quindi ritenuto che la verifica dell'esistenza nell'organico aziendale di posizioni compatibili con lo stato di salute del dipendente deve essere contestuale all'intimazione del licenziamento.