In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in seguito alla soppressione di un posto di lavoro, in presenza di più posizioni occupate da lavoratori con professionalità sostanzialmente omogenee, il datore di lavoro deve individuare il soggetto da licenziare secondo i principi di correttezza e buona fede individuati dall'articolo 5 della legge 223/1991, pur non escludendo l'utilizzo di altri criteri, purché non arbitrari, improntati a razionalità e graduazione delle posizioni dei dipendenti interessati.
Questa in sintesi la conclusione della Corte di Cassazione che, con sentenza n. 21438 del 30 agosto 2018, si è pronunciata in merito al caso di un lavoratore che ha impugnato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo sostenendo che il datore di lavoro avrebbe potuto (e dovuto) licenziare altri lavoratori con identiche mansioni ed inferiore anzianità di servizio.
I giudici di merito, appurato che il datore di lavoro non aveva soppresso alcun reparto nè specifica posizione lavorativa ma aveva registrato una contrazione dell'attività con conseguente necessità di ridurre il personale, avevano ritenuto illegittima la scelta operata in relazione alle mansioni espletate dal lavoratore.
La Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito rilevando che quando il licenziamento per giustificato motivo oggettivo si identifica nella generica esigenza di ridurre il personale omogeneo e fungibile le regole generali di buona fede e correttezza impongono al medesimo di selezionare il personale da licenziare applicando, in via analogica, i criteri sanciti dall'art. 5, L. n. 223/1991 per i licenziamenti collettivi e, quindi, in relazione a carichi di famiglia ed anzianità di servizio non venendo in rilievo il criterio delle esigenze organizzative e produttive proprio per la fungibilità totale tra i dipendenti.