Nel caso de quo una lavoratrice, licenziata per allontanamento dal posto di lavoro, ha impugnato il recesso chiedendo in via principale la tutela reintegratoria ex art. 3, comma 2, D.Lgs. n. 23/2015.
Il giudice di prime cure, pur ritenendo il fatto contestato privo di rilievo disciplinare, ha accordato alla lavoratrice la mera tutela indennitaria.
L’impugnazione promossa dalla dipendente è stata respinta dalla Corte di appello di Genova che ha ritenuto la condotta contestata verificatasi nella sua materiale ma non di gravità tale da giustificare il recesso.
Nel giudizio di legittimità la lavoratrice ha lamentato la violazione dell’art. 3, comma 2 citato sostenendo che la tutela reintegratoria prevista da tale norma deve applicarsi sia in caso di insussistenza materiale del fatto contestato sia in caso di sua irrilevanza giuridica.
La Suprema Corte, senza naturalmente entrare nel merito circa il rilievo disciplinare del fatto, ha cassato la sentenza per una nuova valutazione sul punto ritenendo, in conformità alla giurisprudenza pronunciatasi sull’art. 18, comma 4, St. Lav., che la tutela reintegratoria prevista dalla norma de qua debba effettivamente essere accordata tanto in caso di insussistenza (nella sua materiale) quanto in caso di sua irrilevanza disciplinare.
In particolare, i giudici di legittimità hanno affermato il seguente principio: “Ai fini della pronuncia di cui al D.Lgs. n. 23 del 2015, art. 3, comma 2, l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, comprende non soltanto i casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità, ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare”.