La Corte di Cassazione ha accolto parzialmente il ricorso proposto da un dirigente medico nei confronti dell’ASP di appartenenza che rivendica il diritto all’indennità per ferie non godute all’atto della cessazione del rapporto, e dell’indennità turni notturni e di pronta disponibilità.
Così recita la sentenza 18140/22, con la quale la Corte di Cassazione ha deliberato sul caso: “il dirigente il quale, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, non ne abbia fruito, ha diritto a un'indennità sostitutiva, a meno che il datore di lavoro dimostri di averlo messo nelle condizioni di esercitare il diritto in questione prima di tale cessazione, mediante un'adeguata informazione nonché, se del caso, invitandolo formalmente a farlo”.
La Suprema Corte ha ritenuto fondato il motivo rappresentato dal dirigente rispetto alle ferie ribadendo che il potere del dirigente pubblico di organizzare autonomamente il godimento delle proprie ferie, pur se accompagnato da obblighi previsti dalla contrattazione collettiva di comunicazione al datore di lavoro della pianificazione delle attività e dei riposi, non comporta la perdita del diritto, alla cessazione del rapporto, all’indennità sostitutiva delle ferie se il datore di lavoro non dimostra di avere, in esercizio dei propri doveri di vigilanza ed indirizzo sul punto, formalmente invitato il lavoratore a fruire delle ferie e di avere assicurato altresì che l’organizzazione del lavoro e le esigenze del servizio cui il dirigente era preposto non fossero tali da impedire il loro godimento.
Secondo i Giudici di legittimità, detto principio trova fondamento nella posizione assunta dalla giurisprudenza comunitaria, che ha recentemente ravvisato la necessità di “evitare una situazione in cui l'onere di assicurarsi dell'esercizio effettivo del diritto alle ferie annuali retribuite sia interamente posto a carico del lavoratore”.