Nel caso de quo, il sistema informatico aziendale – noto ai lavoratori – prevedeva la duplicazione periodica di tutti i dati contenuti nei computer aziendali e, a fronte di un’anomalia segnalata dall’amministratore di sistema che aveva rilevato un tentativo di cancellazione di file, il datore di lavoro aveva preso visione dei messaggi di posta elettronica nei quali il lavoratore utilizzava espressioni scurrili nei confronti del legale rappresentante della società e di altri collaboratori licenziando il dipendente.
I giudici di merito hanno confermato la legittimità del licenziamento per violazione del dovere di fedeltà ritenendo legittimo il controllo effettuato dal datore di lavoro.Tale valutazione è stata confermata dalla Suprema Corte che ha ribadito la distinzione tra controlli sull’attività dei dipendenti, soggetti ai limiti dell’art. 4 St. Lav., e controlli difensivi volti ad accertare comportamenti illeciti del lavoratore lesivi del patrimonio o dell’immagine aziendali ed eccedenti il mero inadempimento della prestazione lavorativa.
Alla stregua di tale distinzione, la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di merito rilevando che i) il lavoratore era a conoscenza dei controlli periodici svolti dalla società sulle registrazioni contenute nei pc aziendali, ii) il controllo effettuato dalla società non riguardava l’attività lavorativa ma era volto a verificare l’eventuale commissione di illeciti, iii) il controllo era stato occasionato da un’anomalia di sistema tale da ingenerare il ragionevole sospetto dell'esistenza di condotte vietate, iv) l'acquisizione dei dati era stata effettuata con modalità non eccedenti (nell'osservanza dei criteri di proporzionalità, correttezza e pertinenza) rispetto alle finalità del controllo