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"Un intervento manipolativo sul Jobs Act": un commento alla sentenza della Consulta

Il Sole 24 Ore pubblica un commento del professor Paolo Tosi sul comunicato della Corte Costituzionale sulla sentenza che ha dichiarato illegittimo l'articolo 3, comma 1 del Jobs Act
03/10/2018
NORME E TRIBUTI - Il Sole 24 Ore 03 OTTOBRE 2018
 
Importo rimesso alla valutazione del giudice 
Il salvataggio del resto della norma pare frutto di un compromesso
 
di Paolo Tosi 
 
In base al comunicato del 26 settembre si deve ritenere che la Consulta abbia operato un intervento manipolativo sull’articolo 3, comma 1 del Dlgs 23/2015 cancellando le parole, non consecutive, «due» e «per ogni anno di servizio». La Corte ha rimesso così la determinazione della misura dell’indennità all’assoluta discrezionalità del giudice entro l’ampio range tra sei e 36 mensilità di retribuzione (a differenza che nell’articolo 8 della 604 e nell’articolo 18, comma 5, dello Statuto dei lavoratori come novellato dalla legge Fornero, qui peraltro in un range da 12 a 24 mensilità). L’esatto contrario, in linea di principio, della espropriazione del giudice di cui è stato da più parti accusato l’articolo 3, comma 1. 
 
Vero che la Corte presumibilmente nella motivazione fornirà al giudice delle indicazioni (non vincolanti) sui criteri cui attenersi, altrettanto presumibilmente suggerendogli di applicare quelli del menzionato articolo 18, comma 5 («in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, della dimensione dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione»). Ed è pure vero che in ogni caso il giudice ad essi farebbe comunque ricorso. Ma l’esperienza dice che le maglie di tali criteri sono così larghe da rendere imprevedibile l’entità della sanzione. 
 
Alla norma originaria non può essere peraltro disconosciuta un’interna coerenza e ragionevolezza. Per un verso è ragionevole l’incremento dell’indennità, dal minimo di sei mensilità di retribuzione fino al raggiungimento, dopo 18 anni, dell’apprezzabile ammontare di tre anni di retribuzione: l'espulsione immotivata appare socialmente più riprovevole quanto maggiore è la permanenza del lavoratore in azienda e quanto più elevata, in corrispondenza, è la sua età anagrafica con le correlate maggiori difficoltà di reperimento di un nuovo posto di lavoro. Per altro verso è anche ragionevole la predeterminazione rigida del rapporto tra incremento dell’indennità e dell’anzianità di servizio: consapevole dell’inevitabile ampiezza del potere discrezionale del giudice nell’amministrazione di clausole generali/elastiche come la giusta causa e il giustificato motivo, il legislatore ha voluto rendere almeno prevedibile l’entità della sanzione. 
 
[... ] L’ordinanza del Tribunale di Roma aveva prospettato l’illegittimità costituzionale dell’intera impalcatura della nuova disciplina dei licenziamenti recata dal Jobs Act a partire dalla disposta residualità della tutela reintegratoria, rimettendo al giudizio della Corte gli articoli 2, 3 e 4 del Dlgs 83/2015. Poiché però, secondo il comunicato della Consulta, «tutte le altre questioni relative ai licenziamenti sono state dichiarate inammissibili o infondate», la Corte ha “salvato” per il resto quell'impalcatura anche se non si può più parlare di tutele crescenti (con l’anzianità di servizio). Non pare allora azzardato pensare che la pronuncia preannunziata dal comunicato sia stata il frutto di un compromesso all'interno della Corte.

 
 




 
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