A seguito di un accertamento ispettivo, l’INPS ha contestato al datore di lavoro il mancato versamento dei contributi previdenziali sull’indennità (di 3 mensilità) corrisposta ai lavoratori con determinata anzianità di servizio al momento della cessazione del rapporto di lavoro.
La società ha proposto opposizione sostenendo che l’indennità erogata al personale alla cessazione del rapporto costituisse una integrazione o maggiorazione dell’indennità di anzianità e fosse pertanto esclusa dall’imponibile contributivo.
La Corte di appello di Milano ha respinto l’opposizione della società ritenendo l’emolumento de quo non assimilabile all’indennità di anzianità in quanto volto alla fidelizzazione del rapporto di lavoro.
Tale statuizione è stata confermata dalla Suprema Corte per la quale ai fini dell’imponibilità previdenziale non rileva – come sostenuto dalla società – il momento di erogazione (alla cessazione del rapporto) bensì la natura giuridica dell’indennità corrisposta ai lavoratori che è strettamente connessa alla sua finalità, finalità che i giudici di appello avevano correttamente individuato nella fidelizzazione del dipendente in corso di rapporto lavorativo