La Suprema Corte ha ribadito che il mancato superamento di un patto di prova illegittimo inficia la causale del recesso che deve ritenersi assolutamente privo di giusta causa o giustificato motivo con conseguente applicazione della tutela reale ai sensi dell’art. 18, comma 7, St. Lav.
La Corte d’Appello, chiamata a giudicare il caso di un licenziamento irrogato per mancato superamento della prova, lo aveva annullato ritenendo illegittimo il patto di prova, illegittimo il relativo licenziamento e applicabile, per insussistenza di giusta causa o giustificato motivo soggettivo, la tutela reintegratoria ex art. 18, comma 6 St.Lav. (come novellato dalla L. n. 92/2012).
La Corte di Cassazione, investita della questione, afferma l’erroneità dell’applicazione del comma 6, riguardante le violazioni formali inerenti all'irrogazione del licenziamento, pur aggravato dal difetto di giustificazione del licenziamento. Secondo i giudici di legittimità non si può considerare fatto giustificativo del licenziamento un patto di prova nullo, che ha costituito l’unica ragione del recesso: il mancato superamento di una prova insussistente rende manifestamente insussistente la causale del recesso.
La Suprema Corte, pertanto, conclude che la prescrizione di cui al comma 7 dell’art. 18, secondo la quale il giudice "può altresì applicare" la tutela di cui al precedente comma 4, deve essere inteso nel senso che “a fronte della inesistenza del fatto posto a base del licenziamento il giudice, tenuto conto degli elementi del caso concreto (nella specie la giuridica assenza di un patto di prova che non poteva essere stipulato in base al c.c.n.l., l'assenza di altre motivazioni poste a base del recesso, nella specie esclusivamente basate sulla libera recedibilità durante il periodo di prova), applica la reintegra, essendo evidente la differenza rispetto al caso in cui sia emerso che il fatto posto a fondamento del licenziamento esista ma non sia ritenuto concretare un Giustificato Motivo Oggettivo, con la conseguente tutela solo indennitaria”.