La Corte costituzionale, con la sentenza n. 128 del 2024, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma 2, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, nella parte in cui non prevede l'applicazione della tutela reintegratoria attenuata anche nei casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (GMO) in cui sia dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale addotto dal datore di lavoro, indipendentemente da qualsiasi valutazione riguardante il ricollocamento del lavoratore (c.d. repêchage).
Tale questione di legittimità costituzionale è stata sollevata da un Tribunale ordinario, sezione lavoro, durante una causa tra un dipendente e la sua azienda. Il dipendente, assunto a tempo indeterminato con la qualifica di operaio specializzato, era stato licenziato per giustificato motivo oggettivo. Contestando il licenziamento, il dipendente aveva ottenuto l'intervento del Tribunale, che ha successivamente rimesso la questione alla Corte costituzionale.
La Corte ha rilevato che l'art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 23 del 2015 è costituzionalmente illegittimo nella misura in cui esclude la reintegrazione nel posto di lavoro per i licenziamenti per GMO fondati su fatti insussistenti. Secondo la Corte, tale esclusione viola diversi articoli della Costituzione italiana, tra cui gli articoli 1, 2, 3, 4, 24, 35, 41, 76 e 117, in relazione all'articolo 24 della Carta sociale europea riveduta.
In particolare, secondo la Consulta non si giustificherebbe il diverso regime sanzionatorio ora esistente tra un licenziamento per GMO fondato su un fatto inesistente, ora sanzionato solo con indennità, ed un licenziamento per giustificato motivo soggettivo parimenti fondato su un fatto inesistente, già ora sanzionato con la reintegra debole.
La decisione della Corte precisa inoltre che la tutela indennitaria prevista dall'attuale normativa non è sufficiente a garantire i diritti del lavoratore nel caso di licenziamenti illegittimi per carenza del fatto materiale sottostante perché vi sarebbe una carenza della stessa “causa” giuridica del licenziamento, ossia di un elemento essenziale di tale atto giuridico unilaterale tipizzato dalla legge. Aspetto questo che accomuna tutti i licenziamenti sia oggettivi che soggettivi.
La sentenza non manca di precisare in alcuni la distinzione tra “insussistenza del fatto materiale” e la valutazione di congruità o adeguatezza del fatto come giustificazione del licenziamento, aspetti che interferiscono con l’insindacabile valutazione di opportunità imprenditoriale riservata al datore di lavoro dalla stessa costituzione.
Questa sentenza impone alle imprese un significativo ripensamento prima di procedere ad un licenziamento per giustificato motivo dovendo valutare anche la possibilità che il giudice possa ordinare la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro qualora il fatto materiale addotto a giustificazione del licenziamento risulti insussistente.