Una grave violazione del codice della strada – per ragioni estranee servizio – da parte di un dipendente alla guida dell’auto aziendale, integra giusta causa di licenziamento. E' quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 9304 del 07 aprile 2021.
Il caso di specie concerne il ricorso di un lavoratore contro il licenziamento per giusta causa irrogato nei suoi confronti dalla società datrice di lavoro per aver gravemente violato le norme di sicurezza stradale – si era, infatti, immesso su un viadotto contromano con rischio di procurare un incidente – mentre si trovava alla guida dell’auto aziendale. Inoltre, fermato dagli agenti della Polizia, il lavoratore aveva addotto inesistenti ragioni di servizio che avrebbero giustificato la sua violazione.
La Corte d’Appello aveva ritenuto legittimo il recesso, pur non essendo la condotta del ricorrente ricompresa tra quei comportamenti tipizzati dalle previsioni del CCNL applicato come integranti la giusta causa di licenziamento, rigettando così ila domanda di reintegro.
La Suprema corte – confermando la sentenza di appello – ha rilevato che che la tipizzazione contrattual-collettiva di giusta causa ha una valenza puramente indicativa e non esaustiva, che non preclude al giudice di valutare che un grave inadempimento o un comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del vivere civile, comporti una non ricomponibile rottura del rapporto fiduciario tra datore e dipendente.
Per la sentenza, il giudicante incontra il solo limite di non poter ritenere integrata la giusta causa di recesso, qualora per il comportamento posto alla base del licenziamento il CCNL preveda una sanzione conservativa.
Secondo i giudici di cassazione la condotta contestata al lavoratore non solo non era riconducibile ad alcuna ipotesi di sanzione conservativa prevista dalle parti sociali, ma rappresentava anche un comportamento tanto grave da elidere definitivamente il rapporto fiduciario e rendere proporzionata la sanzione espulsiva.
In forza di tali presupposti, la Suprema Corte ha pertanto rigettato il ricorso del lavoratore, confermando la legittimità del licenziamento per giusta causa.