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Segni religiosi sul luogo di lavoro: legittimo vietarne l'esibizione

Con la sentenza del 13.10.2022 (causa C-344/20), la Corte di Giustizia UE afferma che il divieto di indossare, sul luogo di lavoro, segni religiosi, filosofici o spirituali non costituisce una discriminazione diretta
20/10/2022
Ha fatto notizia anche sulla stampa non specializzata la sentenza della Corte di Giustizia Europea (CGUE) relativa al ricorso, presentato in Belgio, da una donna di religione musulmana la cui candidatura per uno stage aziendale era stata scartata dopo aver dichiarato che, se assunta, non avrebbe tolto il velo sul luogo di lavoro. Il Tribunale del lavoro di Bruxelles, investito del caso, ha chiesto alla CGUE a – mediante un rinvio pregiudiziale – se il divieto di portare al lavoro un segno o un indumento di valenza si possa ritenere in contrasto con le norme dell’Unione.
 
La ricorrente sosteneva si trattasse di un caso discriminazione religiosa; secondo la società il rifiuto di togliere il velo durante la prestazione lavorativa avrebbe violato il regolamento aziendale che prevede l'obbligo dei dipendenti di rispettare la politica di rigorosa neutralità vigente all'interno dell’impresa, astenendosi dal «manifestare in alcun modo, né verbalmente, né con un particolare abbigliamento o in altro modo, le proprie convinzioni religiose, filosofiche o politiche, di qualsiasi tipo».
 
A fronte di ciò, la CGUE a riteneva legittimo il comportamento dell'azienda. Infatti per la Corte, un regolamento che vieti soltanto di indossare segni vistosi di grandi dimensioni di convinzioni segnatamente religiose o filosofiche, può costituire una discriminazione diretta ai sensi della direttiva 2000/78 nei casi in cui tale criterio sia inscindibilmente legato a una o più religioni o convinzioni personali determinate (sentenza del 15 luglio 2021, Wabe e Mh Mu¨ller Handel, C-804/18 e C-341/19, EU: C:2021:594).
Quando così non fosse, come nel caso di specie, è ritenuta legittima in quanto rientrante nella libertà d'impresa, riconosciuta dall'articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, la volontà datoriale di dimostrare, nei rapporti con i clienti, una linea di neutralità politica, filosofica o religiosa, in particolare qualora il datore coinvolga nel perseguimento di tale obiettivo soltanto i dipendenti che si suppone entrino in contatto con i clienti.
 
Pertanto, secondo la CGUE, l'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78 deve interpretarsi nel senso che «una disposizione di un regolamento di lavoro di un'impresa che vieta ai dipendenti di manifestare verbalmente, con l'abbigliamento o in qualsiasi altro modo, le loro convinzioni religiose o filosofiche, di qualsiasi tipo, non costituisce, nei confronti dei dipendenti che intendono esercitare la loro libertà di religione e di coscienza indossando visibilmente un segno o un indumento con connotazione religiosa, una discriminazione diretta "basata sulla religione o sulle convinzioni personali", ai sensi di tale direttiva, a condizione che tale disposizione sia applicata in maniera generale e indiscriminata». 
 
 
 
 

 
 




 
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