La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con ordinanza n. 15094 dell’11 giugno 2018, ha accolto il ricorso di un lavoratore avverso la sentenza di secondo grado che ne aveva confermato il licenziamento disciplinare.
Il datore di lavoro, accertata tramite una indagine investigativa "la mancata esecuzione dei compiti di verifica e controllo affidati al ricorrente e la inveritiera attestazione della positiva esecuzione di controlli mai eseguiti", ha licenziato il dipendente. I giudici di merito hanno respinto il ricorso promosso dal lavoratore ritenendo legittima l’indagine investigativa disposta dal datore di lavoro dato che la prestazione lavorativa si svolgeva prevalentemente al di fuori dei locali aziendali.
Tale valutazione è stata censurata dalla Suprema Corte che ha affermato i seguenti principi:
- Le indagini investigative non possono riguardare in nessun caso né l’adempimento né l’inadempimento della prestazione lavorativa
- Tale divieto vige anche in caso di prestazioni lavorative svolte al di fuori dei locali aziendali.
- Le indagini investigative sono legittime ove finalizzate a verificare comportamenti illeciti eccedenti il mero inadempimento della prestazione lavorativa (es. verifica sull'attività extralavorativa svolta dal lavoratore in violazione del divieto di concorrenza, controllo finalizzato all'accertamento dell'utilizzo improprio, da parte di un dipendente, dei permessi ex lege 104/1992).
Alla stregua di tali principi, la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito che, pur in mancanza di illeciti eccedenti la mera inadempienza, ha ritenuto legittimo il ricorso all’agenzia investigativa.