Pronunciandosi su un ricorso promosso da un giornalista licenziato per motivi economici dall’editore di un noto quotidiano partenopeo, la Suprema Corte ha delineato i requisiti di legittimità del recesso per “soppressione del posto di lavoro” nei seguenti termini:
1. La posizioni di lavoro del dipendente licenziato deve essere venuta meno per effetto della soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui il dipendente era addetto, soppressione che non richiede però il venir meno delle mansioni già assegnate al lavoratore che possono essere ripartite tra gli altri dipendenti;
2. La soppressione del posto di lavoro deve discendere da progetti o scelte datoriali insindacabili nella loro congruità e opportunità, purché siano effettivi e non simulati, senza che il datore debba necessariamente provare un andamento economico negativo dell'azienda potendo la riorganizzazione essere volta a realizzare una migliore efficienza gestionale o un incremento della redditività;
3. Impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni che deve essere provata dal datore di lavoro a prescindere da ogni deduzione ed allegazione del lavoratore circa la disponibilità in azienda di posizioni lavorative cui avrebbe potuto essere adibito.
Alla stregua di tali principi, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso ritenendo che i giudici di merito avessero erroneamente identificato la giustificazione del licenziamento nello stato di crisi aziendale senza verificare in concreto quale fosse la posizione lavorativa del lavoratore licenziato e se tale posizione dovesse ritenersi effettivamente e specificamente soppresso dalla riorganizzazione operata dal datore di lavoro.