Il caso di specie un dipendente era stato licenziato dal datore di lavoro poiché, dopo aver preso visione di un documento riservato nel quale si riportava che i suoi colleghi percepivano uno stipendio più alto del suo, aveva reagito dando in escandescenze e proferendo ingiurie durante l’orario lavorativo.
Il lavoratore impugnava giudizialmente il licenziamento irrogatogli a fronte dei suddetti fatti e la Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva il ricorso, sul presupposto che le condotte poste in essere dal ricorrente non erano espressamente contemplate dalle parti sociali tra le mancanze che giustificano il licenziamento e, anzi, appaiono meno gravi rispetto alle ipotesi espressamente considerate a tale fine.
Nel ricorso della società datrice di lavoro alla Corte di Cassazione, uno degli argomenti posti a base del ricorso reclamava la violazione e falsa applicazione dell’art. 2109 c.c. oltre che degli artt. 139 e 146 del CCNL Metalmeccanici Artigiani, argomentando sostanzialmente che la massima sanzione sarebbe stata giustificata e proporzionata.
La Suprema Corte dichiarava inammissibili tutti i motivi di ricorso, e in riferimento a quello testé citato, i giudici di legittimità hanno ribadito la conformità della sentenza impugnata al consolidato principio di diritto secondo cui: “in tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, non è vincolate la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva, rientrando il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettivi, della fattispecie.”