Il patto di non concorrenza e correlata opzione siglato tra azienda e lavoratore era così strutturato:
- impegno irrevocabile del lavoratore a non svolgere, successivamente alla cessazione del rapporto lavorativo, attività in concorrenza
- concessione alla società “in considerazione della formazione professionale ricevuta alle dipendenze della stessa” di una “opzione irrevocabile al rispetto del presente patto, da esercitarsi mediante comunicazione scritta che dovrà essere inviata all'obbligato con raccomandata r.r. entro non oltre 30 giorni lavorativi dalla intervenuta cessazione del rapporto di lavoro”
con la precisazione che “In caso di esercizio dell'opzione da parte della società, il presente patto di non concorrenza entrerà in vigore automaticamente ed avrà efficacia, alle condizioni e ai termini qui previsti, senza necessità di altre formalità e/o adempimento. Ove invece la società non dovesse esercitare l'opzione di cui al presente articolo il patto di non concorrenza non entrerà in vigore".
Stante il mancato esercizio dell’opzione da parte della società – che, peraltro, in costanza di rapporto aveva comunicato la rinuncia al patto di non concorrenza – il lavoratore ha agito per ottenere l’accertamento della nullità del patto di opzione dal medesimo lavoratore qualificato come una clausola di recesso discrezionale ed il pagamento del compenso già concordato per il patto di non concorrenza.
La Corte di appello ha accolto la domanda del lavoratore ritenendo che il patto di opzione celasse effettivamente una facoltà di recesso discrezionale e che tale facoltà di recesso fosse incompatibile con il patto di non concorrenza.
La Suprema Corte ha confermato tale pronuncia rilevando che:
- il patto di opzione era concesso “in considerazione della formazione professionale ricevuta alle dipendenze della stessa” e, quindi, in assenza di un effettivo corrispettivo trattandosi, nel caso di specie, di un contratto di formazione e lavoro nel quale la formazione è causa stessa del rapporto lavorativo con conseguente sperequazione a danno del lavoratore
- nello schema contrattuale delineato dalle parti – che prevedeva per il lavoratore l’assunzione, sin dalla stipulazione del contratto di lavoro, dell’obbligo di non concorrenza e la soggezione a tale obbligo nella vigenza del rapporto di lavoro e, quanto meno, nei 30 giorni successivi alla cessazione sino allo scadere del termine per l’esercizio dell’opzione – era violato il modello contrattuale dell’opzione che non prevede alcuna prestazione contrattuale per la parte vincolata all’opzione siano all’esercizio dell’opzione medesima
- la nullità del patto di opzione non si estende al patto di non concorrenza salva la deduzione e prova della loro interdipendenza
La nullità di analoghe pattuzioni era stata già affermata dalla Suprema Corte nella sentenza n. 8715/2017 con identica motivazione e nella sentenza n. 12090/2017 con diversa motivazione (in quel caso, i giudici di legittimità hanno ritenuto, confermando la sentenza di merito, che l’opzione rendesse il patto di non concorrenza sottoposto ad una condizione sospensiva meramente potestativa).
Ad opposta conclusione era invece giunta la Corte di Cassazione nella sentenza n. 25462/2017 ritenendo che il mancato esercizio dell’opzione avesse reso inefficace (e non risolto) il patto di non concorrenza che non si era ancora perfezionato.