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L'accertamento della natura ritorsiva del licenziamento

La Suprema Corte ha ribadito che il motivo illecito rende nullo il licenziamento solo se determinante ed esclusivo sicché il suo accertamento richiede la previa verifica dell’insussistenza della causale posta a fondamento del recesso
17/12/2019
Con la sentenza del 3 dicembre 2019, n. n. 31527, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso riguardante un dirigente bancario, licenziato per soppressione della relativa posizione dirigenziale, che ha impugnato il recesso sostenendone la natura ritorsiva per avere la società disposto il licenziamento a seguito del suo rifiuto di accettare una ricollocazione nel livello inferiore di quadro direttivo.
 
I giudici di merito hanno accolto il ricorso, disponendo ai sensi dell’art. 18, comma 1, St. Lav., la reintegra del dirigente. Ciò sul presupposto che il patto di demansionamento offerto al dirigente da un lato smentisse la causale del recesso e, dall’altro, attestasse la sua natura ritorsiva rispetto al rifiuto opposto dal lavoratore.
 
La Suprema Corte ha cassato tale pronuncia ritenendo viziato, nel metodo, l’accertamento operato dai giudici di merito.
In particolare, i giudici di legittimità hanno ribadito che il motivo illecito rende nullo il recesso solo se determinante (quale unica effettiva ragione di recesso) ed esclusivo (per insussistenza del motivo lecito formalmente addotto) sicché il suo accertamento richiede la previa verifica dell’insussistenza della causale posta a fondamento del recesso.
 
Alla stregua di tale principio, la Suprema Corte ha ritenuto viziato l’accertamento operato dai giudici di merito che hanno fondato la nullità del recesso sul solo rifiuto del patto di demansionamento senza minimamente verificare la sussistenza o meno della ragione giustificativa del licenziamento.

 
 




 
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