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Tribunale di Roma: legittima la sospensione del dipendente che rifiuta di vaccinarsi

Il lavoratore che decide di non sottoporsi al vaccino può essere sospeso dalla propria attività lavorativa nel caso in cui non vi siano altre mansioni cui destinarlo
04/08/2021
Il Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, con ordinanza n. 18441 del 2021, ha stabilito che è legittima la sospensione dal servizio e dalla retribuzione applicata alla lavoratrice, divenuta inidonea alle mansioni, che rifiuta la vaccinazione anti-covid, per tale motivo il Giudice ha rigettato il ricorso con condanna alle spese di lite.
 
Il Tribunale si è pronunciato in seguito al ricorso promosso da una lavoratrice – dipendente di una RSA con funzioni non sanitarie – che ha impugnato giudizialmente il provvedimento datoriale di sospensione dal servizio e dalla retribuzione, emanato a seguito dell’inidoneità rilasciata dal medico competente stante il rifiuto di sottoporsi alla vaccinazione anti-COVID.
 
Nello specifico, la dipendente era risultata non idonea alle prestazioni lavorative in seguito alla visita d’idoneità del medico competente, il quale aveva dichiarato la lavoratrice “idonea con limitazioni”  nello svolgimento della sua attività lavorativa (“evitare carichi lombari maggiori/uguali a 7 kg”) e, in seguito al rifiuto di sottoporsi al vaccino contro il Covid-19, impossibilitata a stare in contatto con la clientela.
 
Il datore di lavoro, dopo il giudizio del medico competente, ha deciso di sospendere la lavoratrice, privandola della retribuzione, a decorrere dal primo luglio scorso, fino a eventuale giudizio di revisione di idoneità o alla cessazione delle limitazioni per pandemia. Inoltre, il datore di lavoro ha  preso questa decisione dopo aver verificato dall’organigramma l’impossibilità per la dipendente di svolgere altre mansioni nella sua attività, in seguito alla mancanza di un diverso impiego da assegnarle.
 
Il ricorso della lavoratrice si fondava sulla tesi che la sospensione da parte dell'azienda altro non fosse che un provvedimento disciplinare nei confronti della stessa per essersi rifiutata di sottoporsi al vaccino contro il Covid-19. 
 
Di altro avviso è il Tribunale di Roma, il quale ha ritenuto corretto il comportamento del datore di lavoro, rilevando, in primo luogo, che ogni lavoratore è tenuto a prendersi cura non solo della propria salute e sicurezza, ma anche di quella di tutte le altre persone presenti sul luogo di lavoro. Con riferimento alla sicurezza sul luogo lavoro, il Tribunale ha riportato quanto previsto dal Testo Unico sulla Sicurezza (Decreto Legislativo n. 81/2008), all’articolo 20: “Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”.
Secondo il tribunale, ciò significa che i dipendenti sono titolari di precisi doveri di sicurezza, dovendo a tal fine sia osservare le direttive impartite dal datore che contribuire all’adempimento degli obblighi legislativamente previsti.
Secondo la sentenza, è contraria a detto principio la condotta del lavoratore di una RSA che, rifiutando immotivatamente di sottoporsi alla vaccinazione contro il COVID-19, finisce per mettere a repentaglio la salute dell’utenza.
Su tali presupposti, il Tribunale di Roma ha rigettato il ricorso, affermando - a fronte della irricevibilità della prestazione - la legittimità della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione.
Con riferimento alla remunerazione del dipendente, il Tribunale ha richiamato la giurisprudenza che, concordemente, ritiene: “se le prestazioni lavorative vengono vietate dalle prescrizioni del medico competente con conseguente legittimità del rifiuto del datore di lavoro di ricevere, lo stesso datore di lavoro non è tenuto al pagamento della retribuzione”. (Sentenza n. 7619/1995 della corte di Cassazione)
 
 
 

 
 




 
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