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"Una disciplina per la gig economy"

Il mensile di management "L'Impresa" del Sole 24 Ore pubblica un'intervista all'avvocato Ornella Girgenti sul caso Foodora e sulla carenza di strumenti normativi nel settore della cosiddetta gig economy
26/07/2018
Il numero 7-8 della rivista "L'Impresa" pubblica un'intervista al'avvocato Ornella Girgenti sulla sentenza del Tribunale di Torino che ha sostanzialmente riconosciuto la correttezza dell'agire di Foodora e l'inconsistenza dell'agire dei ricorrenti.
 
L'intervista affronta anche il tema più generale dei rapporti di lavoro nella gig economy, la cosiddetta "economia dei lavoretti" che fatica ad essere inquadrata all'interno di modelli aziendali tradizionali e, soprattutto, delle regole classiche del lavoro subordinato. Sa da un lato l'avvocato Girgenti, che assieme all'avvocato Giovanni Realmonte ha difeso Foodora in tribunale, afferma con forza che "non si può accusare qualcuno di violare norme che non ci sono", dall'altro riconosce che esiste un vuoto normativo che il legislatore potrebbe colmare, per esempio stabilendo dei livelli minimi di tutela validi per tutti.
 
Pubblichiamo di seguito alcuni stralci dell'intervista.
 
"Una disciplina per la gig economy" 
Luglio 2018
 
Che cosa questa sentenza non ci dice?
Non entra nel merito del compenso e non dice se la paga, che allora era oraria a 5,60 euro lordi, sia giusta o meno, si configuri come sfruttamento o sia invece adeguata. Semplicemente la sentenza non si occupa di adeguato compenso. Il punto è che i ricorrenti, che pure hanno dedicato pagine e pagine del ricorso a sostenere che Foodora pagasse poco, poi non hanno inserito il tema nelle domande, cosa che avrebbero potuto fare magari impostando diversamente la causa. Invece, tutta la richiesta era incentrata sul tema dalla subordinazione e su quella il giudice si è espresso.
 
Dicendo che la subordinazione non si produce, giusto?
Proprio così.  Le regole di ingaggio erano chiarissime, si trattava di un lavoretto senza vincoli di subordinazione. [...]
 
La sentenza tratta anche il tema della privacy, ancora una volta respingendo le tesi dei ricorrenti. Cosa vale la pena di ricordare in proposito?
I ricorrenti chiedevano 20mila euro di generico risarcimento perché sostenevano che l'azienda non avesse fatto firmare loro  l'informativa sulla privacy, il che è stato dimostrato non essere rispondente al vero [...] Però a questo proposito la sentenza dice qualcosa in più rispetto alla disciplina prevista dal codice della privacy. Chiama in causa l'articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, in materia di videosorveglianza così come riformulato dal Jobs Act. In pratica, il giudice mette nero su bianco che quando lo smartphone o le app su di esso installate vengono utilizzati per rendere la prestazione lavorativa, per ciò stesso non necessita il preventivo accordo con le organizzazioni sindacali. Anche questo è un passaggio importante, perché è molto attuale per tutta la gig economy.
 
 
 
 
 
 
 

 
 




 
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