A seguito di un infortunio sul lavoro, il dipendente ha convenuto in giudizio il datore di lavoro per ottenere il risarcimento dei danni subiti.
Il giudice di primo grado ha negato sia il risarcimento del danno biologico ritenendo il medesimo già liquidato dall’INAIL per l’assenza di deduzioni del lavoratore sul danno differenziale sia il risarcimento del danno esistenziale per mancata prova in giudizio del medesimo ed ha invece riconosciuto il danno morale liquidandolo in conformità alle cosiddette tabelle milanesi (in misura pari al 50% del danno biologico teoricamente spettante).
In parziale riforma di tale pronuncia, i giudici di appello hanno negato il risarcimento dello stesso danno morale per l’assenza di deduzioni ed allegazioni del lavoratore in merito al danno morale patito.
Il ricorso per cassazione promosso dal lavoratore è stato respinto dalla Suprema Corte che ha condiviso il principio affermato dai giudici di appello.
In particolare, la Corte di Cassazione ha ribadito i seguenti principi:
- Il danno non patrimoniale, pure in caso di lesione di diritti inviolabili, non può ritenersi in re ipsa ma deve essere allegato e provato da chi lo rivendica
- Il danno non patrimoniale da lesione della salute deve essere liquidato in maniera unitaria ed omnicomprensiva considerando tutti i pregiudizi concretamente subiti dalla vittima
- È inammissibile, costituendo una duplicazione risarcitoria, la liquidazione separata del danno biologico e del danno morale così come la liquidazione separata del danno biologico e del danno esistenziale.