Il caso su cui si è espressa la Suprema Corte con la sentenza n. 14256 del 24 maggio 2019 riguarda un lavoratore, licenziato nell’ambito di una procedura di mobilità, che ha impugnato il recesso lamentando la violazione dei criteri di scelta ex art. 5, L. n. 223/1991 per l’illegittima delimitazione della platea dei lavoratori ad alcune lavorazioni.
Il giudice di primo grado, ritenuta illegittima tale delimitazione, ha accolto il ricorso per violazione della citata norma sui criteri di scelta
Tale sentenza è stata riformata in appello sul rilievo che l’applicazione dei criteri di scelta all’intero complesso aziendale non avrebbe avuto per il lavoratore un esito diverso sì da ritenere il suo ricorso privo di un concreto interesse ad agire.
La Corte di Cassazione ha confermato detta statuizione rilevando che l’azione di annullamento è proponibile “soltanto da parte dei soggetti titolari dell'interesse - di diritto sostanziale - protetto dalla norma” per cui l’annullamento del licenziamento per violazione dei criteri di scelta non può essere richiesto indistintamente dai lavoratori licenziati ma solo da quelli che, in virtù della corretta applicazione dei criteri di scelta, sarebbero rimasti estranei all’esubero.
I giudici di legittimità hanno quindi ritenuto corretta la verifica operata dai giudici di merito circa la natura decisiva o meno della violazione dei criteri di scelta rispetto alla specifica posizione del lavoratore e relativo recesso.