Con la sentenza n. 16929 del 25 maggio 2022, la Corte di Cassazione stabilisce che i periodi di riposo riconosciuti ai dipendenti che beneficiano delle misure previste a tutela della genitorialità dal D.Lgs. 151/2001 devono essere equiparati, a livello retributivo, alle ore di lavoro effettivamente prestate.
Alcune lavoratrici della Agenzia delle Dogane e dei Monopoli erano ricorse in giudizio fine di veder riconosciuto il loro diritto al pagamento dei buoni pasto, dell'indennità di agenzia e di quella di produttività, con riferimento ai periodi in cui le stesse erano state assenti per allattamento, congedo di maternità, interdizione anticipata dal lavoro e congedo parentale. La Corte d’Appello accoglieva il ricorso, sul presupposto che i citati periodi di astensione devono essere equiparati alla presenza in servizio.
La sentenza della Suprema Corte riconosce rileva che, in tema di pubblico impiego privatizzato, le misure di tutela e sostegno della maternità e della paternità, hanno la funzione di proteggere la salute della donna, ma anche quella di soddisfare le esigenze puramente fisiologiche del minore, nonché di appagare i bisogni affettivi e relazionali del bambino per realizzare il pieno sviluppo della sua personalità.
Pertanto, i periodi di astensione legati alla genitorialità non possono avere incidenza negativa sul trattamento retributivo complessivo degli interessati, che hanno diritto a vedersi riconosciute le medesime indennità loro spettanti se fossero stati in servizio.
Purtuttavia, l'ordinanza, rovesciando la sentenza d'appello, richiamando un precedente di Cassazione (sentenza n. 31137/19), ribadisce la natura assistenziale del diritto ai buoni pasto e che, pertanto, l'assimilazione delle ore di permesso a quelle di lavoro ai fini della retribuzione è irrilevante in quanto il riconoscimento dei buoni pasto non ha valenza retributiva.
Di conseguenza, i buoni pasto non possono essere attribuiti ai lavoratori che, beneficiando delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, osservano, di fatto, un orario giornaliero effettivo inferiore alle sei ore.