Con la sentenza n. 6500 del 9 marzo 2021, la Corte di Cassazione, sezione lavoro, ha stabilito che l’interesse all’esercizio dell’azione disciplinare da parte della P.A. permane anche nel caso di sopravvenuta cessazione del rapporto di lavoro.
Per i giudici della Suprema corte, “l'interesse del datore di lavoro pubblico ad accertare, anche a rapporto cessato, la responsabilità del dipendente nei casi di gravi illeciti disciplinari, trascende quello meramente economico, poiché solo l'irrogazione della sanzione preclude raccoglimento della istanza di riammissione in servizio del dipendente dimissionario ed impedisce a quest'ultimo la partecipazione a pubblici concorsi, ai sensi dell'art. 2, comma 3, del d.p.r. 9 maggio 1994 n. 487”.
Nel caso di specie, il lavoratore, dopo essere stato dispensato per inidoneità al servizio dalla ASL datrice, in data 21.10.2014, veniva successivamente licenziato per giusta causa, in data 09.12.2014, in ragione di una condanna penale subita per corruzione.
In virtù della precedenza cronologica della dispensa rispetto al recesso, il lavoratore aveva proposto ricorso per decreto ingiuntivo al fine di ottenere l'indennità di preavviso.
La Corte d’Appello – adita in sede di opposizione al decreto ingiuntivo – revocava il decreto e riconosceva al lavoratore, a titolo di preavviso, il solo importo pari al periodo intercorrente tra la dispensa dal servizio per sopravvenuta inidoneità al lavoro e l'atto di licenziamento per giusta causa.
La Corte di Cassazione - confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello - afferma che la P.A., quando ricorrano i presupposti per il licenziamento disciplinare, può irrogare la sanzione anche se il rapporto di lavoro è precedentemente cessato per altre cause.
Secondo i Giudici di legittimità, tuttavia, l'irrogazione del licenziamento disciplinare a rapporto di lavoro cessato non è in sé motivo di inefficacia della precedente causa estintiva, dal momento che al recesso non può essere riconosciuta natura retroattiva.
Per la sentenza, il licenziamento disciplinare sopravvenuto è, quindi, efficace al solo fine di regolare le vicende economiche (periodi di sospensione cautelare, preavviso, ecc.). Su tali presupposti, i giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso del lavoratore, confermando la non debenza del preavviso a fronte dell’intervenuto recesso per giusta causa.
In riferimento alla c.d. riforma Madia, la disciplina vigente è stata considerata, nel suo complesso, “espressione di un principio sottostante, di persistenza della possibilità per la P.A., nel ricorrere dei presupposti del licenziamento disciplinare, di irrogare la sanzione anche se il rapporto di lavoro sia precedentemente cessato per altre cause”. Ciò in ragione dell'interesse pubblico nel ricorrere al procedimento disciplinare per le ragioni di tutela dell'immagine della Pubblica Amministrazione, per gli effetti rispetto a future partecipazioni a concorsi o per l'ottenimento di incarichi, così come per una regolazione di rapporti economici concernenti risorse pubbliche, che tenga conto dei comportamenti tenuti dal lavoratore, qualora disciplinarmente illegittimi al punto da comportare la massima sanzione.
Pertanto, l'irrogazione del licenziamento disciplinare a rapporto di lavoro cessato non costituisce in sé causa di inefficacia del susseguente recesso datoriale. Il licenziamento disciplinare sopravvenuto è “destinato a manifestarsi come evento che, caducando ex nunc la causa dell'attribuzione, opera con effetto estintivo parziale sul diritto già maturato o, qualora l'erogazione vi sia già stata, la rende parzialmente indebita e ciò nella misura in cui tale indennità sia proiezione obbligatoria del diritto rispetto a mensilità per le quali, a causa del sopravvenire appunto del recesso per motivi disciplinari, non può ex post ammettersi la legittimità del riconoscimento”.