La Suprema Corte, con l'ordinanza del 25 maggio 2018 n. 13181, ha chiarito che il licenziamento per raggiunti limiti di età è da considerarsi legittimo solo dal momento in cui il lavoratore abbia concretamente maturato il diritto al conseguimento della prestazione previdenziale e non già dal momento (precedente) in cui abbia maturato il requisito anagrafico per l’accesso alla pensione di vecchiaia.
La sentenza origina dal caso di un lavoratore, licenziato ad nutum ex art. 4, comma 2, L. n. 108/1990 alla maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia, ha impugnato il recesso sostenendo di non poter essere licenziato ad nutum sino al conseguimento – alla relativa “finestra” di uscita – della pensione di vecchiaia.
I giudici di merito hanno accolto il ricorso rilevando come, pacifica l’interpretazione della norma nel senso di legittimare il recesso ad nutum per il solo conseguimento della pensione di vecchiaia (e non di anzianità), la stessa debba essere altresì interpretata nel senso di far riferimento non alla mera maturazione del diritto bensì alla sua effettiva percezione con il raggiungimento della finestra di uscita.
La Suprema Corte ha confermato tale statuizione ritenendo che “la possibilità del recesso ad nutum, con sottrazione del datore di lavoro all'applicabilità del regime della L. n. 300 del 1970, art. 18, è condizionata non dalla mera maturazione dei requisiti anagrafici e contributivi idonei per la pensione di vecchiaia, bensì dal momento in cui la prestazione previdenziale è giuridicamente conseguibile dall'interessato”.