A seguito di una interdittiva prefettizia concernente alcuni lavoratori aventi precedenti penali o comunque con rapporti di vicinanza ad esponenti di clan mafiosi, il datore di lavoro aveva licenziamento uno dei lavoratori coinvolti nel provvedimento amministrativo.
L'impugnativa del lavoratore è stata accolta tra l'altro sul rilievo dell'intervenuto annullamento del provvedimento prefettizio su ricorso promosso dalla stesso datore di lavoro. In particolare, i giudici di merito hanno ritenuto che, nelle more del giudizio di impugnazione dell'atto amministrativo, la società potesse limitarsi ad una sospensione del rapporto lavorativo.
Così accertato il recesso, i giudici di merito hanno accordato al lavoratore la sola tutela indennitaria escludendo la manifesta insussistenza del fatto oggettivo posto a base del recesso. Il ricorso promosso dal lavoratore per ottenere la reintegra è stato respinto dalla Suprema Corte che ha ribadito come, nell'ambito del nuovo art. 18, e in particolare del recesso per motivi oggettivi la reintegra sia fattispecie del tutto residuale prevista dal legislatore per la sola 'manifesta' insussistenza del fatto.
In particolare, i giudici di legittimità hanno ritenuto che, stante la pacifica esistenza dell'interdittiva al momento del recesso e la sua intervenuta impugnazione da parte del datore di lavoro con conseguente facoltà di sospendere il rapporto di lavoro nelle more del giudizio amministrativo, la fattispecie non fosse riconducibile ad una manifesta insussistenza del fatto (per la quale sarebbe stata necessaria l'inesistenza dell'interdittiva) bensì ad una insussistenza del giustificato motivo oggettivo (potendo il datore di lavoro adottare provvedimenti cautelari nelle more dell’impugnazione amministrativa).