Nel caso de quo, il lavoratore, che aveva patteggiato la pena per coltivazione e detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti (leggere), è stato licenziato da una società di trasporto pubblico ai sensi dell’art. 45, R.D. n. 148/1931 (che prevede la destituzione dal servizio per “chi, per azioni disonorevoli od immorali, ancorché non costituiscano reato o trattisi di cosa estranea al servizio, si renda indegno della pubblica stima”).
Il ricorso promosso dal lavoratore è stato respinto dai giudici di merito secondo i quali il consumo abituale di stupefacenti (sia pure di tipo leggero) – desumibile dalla sentenza di patteggiamento riferita alla coltivazione e detenzione (anche a fini di spaccio) di sostanze stupefacenti - costituiva nel caso di specie giusta causa di licenziamento in considerazione delle mansioni espletate dal dipendente (autista di linea) e della responsabilità datoriale per la sua condotta di guida.
La Suprema Corte ha confermato tale sentenza condividendo la valutazione effettuata dai giudici di appello circa la gravità della condotta extralavorativa in rapporto alle mansioni espletate dal dipendente.
In particolare, i giudici di legittimità hanno ritenuto che “con valutazione congrua non censurabile in sede di legittimità, il giudice di appello, ai fini della verifica della lesione del vincolo fiduciario, ha ritenuto che le emergenze in atti deponevano per una condizione di consumo abituale di stupefacente, sia pure del tipo "leggero" e che tale situazione era incompatibile con le mansioni del P. di conducente di mezzi adibiti al trasporto di persone, mansioni richiedenti "particolare attenzione e perfetta lucidità".