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Il demansionamento non legittima il rifiuto della prestazione

Cassando la sentenza di appello, la Suprema Corte ha ribadito (sentenza n. 836, 16 gennaio 2018) il demansionamento non costituisce inadempimento totale e non giustifica il rifiuto del dipendente ad eseguire la prestazione
23/01/2018
Nel caso di specie su cui si è pronunciata la Corte di Cassazione, il lavoratore, decorsi due mesi dall’adibizione a mansioni inferiori, aveva contestato  tramite il proprio legale la dequalificazione e, dal giorno successivo, aveva rifiutato la prestazione lavorativa assentandosi dal servizio. La società aveva disposto il licenziamento in tronco alla stregua della disposizione contrattuale che prevedeva tale sanzione in caso di assenza ingiustificata superiore a 4 giorni.
 
L’impugnazione del recesso proposta dal lavoratore è stata accolta dai giudici di merito – Corte di appello di Firenze – che hanno ritenuto legittimo il rifiuto della prestazione lavorativa alla luce dell’inadempienza datoriale data dall’attribuzione di mansioni inferiori.
 
La Suprema Corte ha cassato detta sentenza ribadendo il principio per cui, a fronte dell’adibizione a mansioni inferiori, il lavoratore non può rendersi totalmente inadempiente alla prestazione sospendendo ogni attività lavorativa, ove il datore di lavoro adempia regolarmente agli altri obblighi (pagamento della retribuzione, copertura previdenziale e assicurativa, assicurazione del posto di lavoro) precisando da un lato che la sospensione della prestazione ai sensi dell’art. 1460 c.c. – secondo il noto brocando inadempleti non est adimplendi – può essere legittimamente disposta solo a fronte di una inadempienza totale della controparte e, dall’altro, che il lavoratore può contestare l’adibizione a mansioni inferiori in via giudiziale, eventualmente attivando una procedura cautelare.

 
 




 
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