Il dipendente - licenziato per aver registrato conversazioni avvenute in orario e luogo di lavoro senza darne informazione agli interessati - ha impugnato il recesso sostenendo la legittimità del proprio operato stante la finalità difensiva delle registrazioni, volte a documentare problematiche esistenti sul posto di lavoro ed utilizzate nell’ambito di procedimenti disciplinari a suo carico.
Valorizzando tali esigenze difensive, i giudici di merito hanno ritenuto il licenziamento non proporzionato condannando conseguente la società all’indennità risarcitoria prevista dal novellato art. 18.
La Suprema Corte, adita dal lavoratore (per invocare la tutela reale stante la manifesta insussistenza dei fatti) e dalla società (per sostenere la legittimità del licenziamento), ha confermato l’illegittimità del recesso ritenendo applicabile la tutela reale per carenza di illiceità del fatto.
In particolare, i giudici di legittimità hanno affermato che:
- il Codice della Privacy consente una deroga al consenso dell’interessato in caso di esigenze difensive;
- esigenze difensive che possono essere riferite tanto ad un processo già pendente quanto ad un contenzioso solo potenziale;
- la legittimità della condotta rende applicabile la tutela reale prevista dal comma 4 del novellato art. 18 dovendosi comprendere nella fattispecie di insussistenza del fatto l’assenza di illiceità.