L’attesa pronuncia della Corte Costituzionale sul contratto a tutele crescenti, di cui la Consulta con una nota stampa del 26 settembre scorso aveva anticipato il dispositivo, è stata pubblicata in data odierna.
Preliminarmente, deve ricordarsi che nella propria ordinanza di rimessione il Tribunale di Roma aveva sollevato questione di costituzionalità relativamente agli artt. 2 (licenziamento discriminatorio, nullo ed intimato in forma orale), 3 (licenziamento per giustificato motivo e giusta causa) e 4 (vizi formali e procedurali) del D.Lgs. n. 23/2015. Tali norme prevedono, come noto, rispettivamente la reintegra in servizio (così per il licenziamento discriminatorio, nullo ed intimato in forma orale nonché per il licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo fondati su un fatto materiale insussistente) e l’indennità risarcitoria parametrata all’anzianità di servizio (così per le altre fattispecie di licenziamento per giustificato motivo e giusta causa nonché per il licenziamento viziato nella forma).
La Consulta ha limitato la propria analisi unicamente all’art. 3, comma 1, D.Lgs. n. 23/2015 concernente l’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo soggettivo, giusta causa (per vizi diversi ovviamente dall’insussistenza del fatto materiale) e giustificato motivo oggettivo in quanto tale norma era l’unica rilevante nel giudizio a quo.
La pronuncia di incostituzionalità non si riferisce quindi né ovviamente può estendersi all’indennità risarcitoria – parimente parametrata all’anzianità di servizio – prevista dall’art. 4, D.Lgs. n. 23/2015 per i licenziamenti viziati nella forma o nel procedimento, indennità che pertanto rimane unicamente correlata all’anzianità di servizio.
Nel merito delle questioni di costituzionalità sollevate dal Tribunale di Roma, la Corte ha in primo luogo escluso la violazione dell’art. 3, Cost. per disparità di trattamento tra lavoratori in relazione alla data di assunzione (come noto, la disciplina del contratto a tutele crescenti si applica per i soli lavoratori assunti successivamente all’entrata in vigore, 7 marzo 2015, del decreto 23) ritenendo che la diversa disciplina riservata ai lavoratori assunti successivamente all’entrata in vigore del decreto sia ragionevole in relazione alla ratio del medesimo decreto di incentivare le assunzioni
Ancora, la Corte ha ritenuto infondata la lamentata violazione del principio di uguaglianza per disparità di trattamento rispetto al personale con qualifica dirigenziale ribadendo la non omogeneità e, quindi, la non comparabili tra il personale di qualifica dirigenziale e gli altri lavoratori.
La Corte ha invece ritenuto fondata la violazione del principio di uguaglianza previsto dall’art. 3, Cost. per la determinazione dell’indennità risarcitoria in rapporto esclusivo e vincolante all’anzianità di servizio del lavoratore.
Al riguardo, rilevato come l’indennità risarcitoria sia quindi “forfetizzata e standardizzata”, la Consulta ha rilevato come il pregiudizio patito dal lavoratore illegittimamente licenziato dipenda da una pluralità di fattori (tra cui l’anzianità di servizio) ed ha ricordato come la disciplina precedente il decreto 23 abbia appunto correlato la determinazione dell’indennità risarcitoria ad una pluralità di fattori (così, l’art. 8, L. n. 604/1966 e l’art. 18, L. n. 300/1970 come novellato dalla Riforma Fornero).
La Corte ha quindi ritenuto che la determinazione del danno in maniera rigida ed uniforme per tutti i lavoratori contrasti con il principio di uguaglianza omologando in maniera ingiustificata situazioni diverse.
La Consulta ha ritenuto che la norma de qua contrasti con il principio di ragionevolezza, sempre sancito dall’art. 3, Cost., per l’inidoneità dell’indennità forfettaria a costituire sia un adeguato ristoro per il lavoratore licenziato (così in caso di anzianità di servizio non elevata) sia un’adeguata dissuasione del datore di lavoro dal licenziare illegittimamente (nel medesimo caso di anzianità non elevata).
Da tale irragionevolezza la Corte ha ritenuto altresì violate le disposizioni costituzionali – artt. 4 e 35 – poste a tutela del lavoro nonché l’art. 24 Carta sociale europea (tramite l’art. 117 che impone al legislatore il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali) che riconosce al lavoratore illegittimamente licenziato il diritto ad un “congruo indennizzo o altra adeguata riparazione”
Alla stregua di tali argomentazioni, la Consulta ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 3, comma 1, D.Lgs. n. 23/2015 (il cui tenore complessivo era il seguente “Salvo quanto disposto dal comma 2, nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità”) limitatamente alle parole «di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio,».
Così affermata la parziale incostituzionalità della norma, la Corte ha fornito alla giurisprudenza del lavoro indicazioni circa i criteri da utilizzare nella liquidazione del danno
In particolare, la Consulta ha precisato che il giudice dovrà tener conto “innanzi tutto” (e, quindi, in via prioritaria) dell’anzianità di servizio e poi degli altri criteri (numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti) desumibili in via sistematica dalle diverse discipline a tutela del licenziamento.
I criteri indicati dalla Corte e, in particolare, la preponderanza data all’anzianità di servizio potrebbero rendere meno “dirompente” nelle sue ricadute concrete la dichiarazione di incostituzionalità.
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