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Legittimo il licenziamento del lavoratore se la critica o la satira diventa denigrazione dell'azienda

Ha avuto vastissima eco la notizia dell'annullamento del reintegro dei cinque operai che nel 2014 inscenarono il finto suicidio dell'amministratore delegato di FCA, Sergio Marchionne
12/06/2018
La vicenda, assurta agli onori della cronaca, nasce dalla rappresentazione scenica – realizzata da alcuni dipendenti sia nell'area antistante alcune sedi aziendali sia all'ingresso della sede regionale della RAI – del finto suicidio dell'amministratore delegato della società tramite impiccagione su un patibolo accerchiato da tute macchiate di rosso e del successivo funerale con contestuale affissione di un manifesto che attribuiva al medesimo le morti per suicidio di alcuni lavoratori e la deportazione di altri in un diverso stabilimento aziendale. I lavoratori, immediatamente licenziati dall’azienda, hanno impugnato il recesso rivendicando il proprio diritto di critica.
Il giudice di primo grado (Tribunale di Nola) ha respinto il ricorso ritenendo il comportamento dei lavoratori di gravità tale da giustificare il recesso in tronco.
 
Tale sentenza è stata riformata dalla Corte di appello di Napoli che ha invece ritenuto che la condotta dei lavoratore costituisse esercizio del legittimo diritto di critica. In particolare, la Corte partenopea ha ritenuto rispettati sia i limiti di continenza sostanziale (dato che alcuni dei lavoratori suicidatosi avevano imputato le ragioni del proprio gesto alla condizione lavorativa) sia i limiti di continenza formale (stante la mancanza di espressioni violente, offensive, sconvenienti o eccedenti lo scopo della denuncia).
 
A diverse conclusioni è giunta la Suprema Corte che ha ritenuto legittimi i licenziamenti respingendo le domande dei lavoratori, riformando la sentenza impugnata. Relativamente al diritto di critica del lavoratore, la Corte (sentenza n.14527/2018) ha espresso i seguenti principi:
  • “tra più interessi collidenti, l'interesse della persona o dell'impresa oggetto di affermazioni lesive, da una parte, e l'interesse contrapposto di chi ne è l'autore alla libera manifestazione del pensiero, dall'altra, occorra trovare un punto di intersezione e di equilibrio che va individuato nel limite in cui il secondo interesse non rechi pregiudizio all'onore, alla reputazione e al decoro di chi ne è il destinatario”;
  • “quando il diritto di critica sia esercitato attraverso la satira, la continenza non può non tener conto delle caratteristiche del genere che prevede l'utilizzo di un linguaggio colorito ed il ricorso ad immagini forti ed esagerate, con conseguente necessità di non compiere estrapolazioni dal contesto complessivo e di non conferire a certe espressioni il significato letterale che potrebbero avere nell'uso comune”;
  • “anche il diritto di satira non si sottrae al limite della c.d. continenza formale …. ossia non può essere sganciato da ogni limite di forma espositiva … in presenza di due interessi collidenti … occorre trovare un punto di equilibrio che va individuato nel limite in cui il secondo interesse, e quindi anche il diritto di satira, non rechi pregiudizio all'onore, alla reputazione e al decoro di chi ne è oggetto”;
  • “L'esistenza del pregiudizio, ossia la esposizione della persona al disprezzo e al ludibrio della sua immagine pubblica, si deve verificare alla luce e nel contesto del linguaggio usato dalla satira, il quale, essendo inteso, con accento caricaturale, alla dissacrazione e allo smascheramento di errori e vizi di uno o più persone, è essenzialmente simbolico e paradossale”;
  • “è indubbio che la libertà dell'attività sindacale non possa ritenersi in conflitto con l'obbligo di fedeltà di cui all'art. 2105 c.c., perché questo si esplica sul distinto piano degli obblighi da osservare in relazione all'espletamento della prestazione lavorativa. Tuttavia, non è così per la menomazione dell'onore, della reputazione e del prestigio del datore di lavoro che ecceda i limiti della continenza formale contravvenendo al c.d. minimo etico: ossia a quei doveri fondamentali che si concretano in obblighi di condotta per il rispetto dei canoni dell'ordinaria convivenza civile”;
  • “la sopravvenuta carenza di questo minimo canone etico mina la sussistenza del rapporto fiduciario, che deve sussistere fra le parti del rapporto di lavoro e determina l'impossibilità della prosecuzione, neppure a titolo provvisorio, del rapporto di lavoro”;
Alla luce di tali principi, i giudici della Suprema Corte hanno ritenuto superati i limiti di continenza formale in quanto la rappresentazione scenica ha attribuito “all'amministratore delegato qualità riprovevoli e moralmente disonorevoli, esponendo il destinatario al pubblico dileggio, effettuando accostamenti e riferimenti violenti e deprecabili in modo da suscitare sdegno, disistima nonché derisione e irrisione”.
La Corte ha quindi ritenuto che “Le modalità espressive della critica manifestata dai lavoratori hanno, quindi, travalicato i limiti di rispetto della democratica convivenza civile, mediante offese gratuite, spostando una dialettica sindacale anche aspra ma riconducibile ad una fisiologica contrapposizione tra lavoratori e datori di lavoro, su un piano di non ritorno che evoca uno scontro violento e sanguinario, fine a se stesso, senza alcun interesse ad un confronto con la controparte, annichilita nella propria dignità di contraddittore”. Così accertato il superamento del limite di continenza formale, i giudici di legittimità hanno ritenuto legittimo il licenziamento irrogato dalla società

 
 




 
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