E’ illegittimo, in quanto non conforme ai canoni di correttezza e buona fede, il licenziamento intimato a un dipendente, addetto a mansioni diverse da quelle considerate in esubero, che sia stato adibito a queste ultime solo pochi mesi prima del recesso.
Queste le conclusioni della Corte di Cassazione nella sentenza n. 14990 del 28 maggio 2021. I giudici della Suprema corte sono stati chiamati a pronunciarsi sulla legittimità del licenziamento intimato ad una dipendente al termine di una procedura di mobilità, conclusasi con accordo sindacale, nella quale si denunciava un esubero di sette unità lavorative.
L’interessata, nell’impugnare il recesso, lamentava di essere stata adibita ad altre dequalificanti mansioni, rispetto a quelle normalmente svolte, con l’intento di allontanarla dalla compagine aziendale e di licenziarla nell’ambito del suddetto licenziamento collettivo in quanto la mansione da ultimo svolta, ossia quella di “addetta all’archivio” era stata dichiarata in esubero.
Tribunale e Corte d’appello accoglievano l’impugnazione della lavoratrice, annullando il licenziamento e condannando il datore di lavoro alla reintegra della dipendente nel posto di lavoro nonché al pagamento dell'indennità risarcitoria nel limite massimo di dodici mensilità della retribuzione globale di fatto percepita. Ricorreva in Cassazione la società datrice di lavoro, osservando che la sentenza impugnata aveva ritenuto, di fatto, che l’illegittimità della procedura derivasse dalla soppressione della mansione di addetta agli archivi, peraltro non potendo il giudice sindacare il merito delle scelte imprenditoriali.
La Cassazione confermava la sentenza di appello. Per i giudici di legittimità quest'ultima aveva infatti ribadito un elementare principio di civiltà giuridica e di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto, quello secondo cui non è conforme a tali canoni il licenziamento di un dipendente addetto a mansioni diverse da quelle considerate in esubero ed adibito a queste ultime solo pochi mesi prima del recesso.