Nel caso de quo, il lavoratore ha impugnato un contratto a termine ottenendone la conversione e la condanna del datore di lavoro al pagamento delle retribuzioni maturate dalla messa in mora alla sentenza.
La sentenza non è stata impugnata dal datore di lavoro che ha siglato un verbale di conciliazione con il lavoratore concordando la risoluzione del rapporto alla data di cessazione del contratto a termine.
L’INPS, nonostante detta conciliazione, ha richiesto al datore di lavoro il pagamento dei contributi sulle retribuzioni già oggetto di condanna
Il giudizio promosso dal datore di lavoro avverso la pretesa dell’INPS è stato respinto dai giudici di merito che hanno ritenuto la transazione intercorsa tra lavoratore e datore di lavoro estranea al rapporto previdenziale e non opponibile all’INPS con conseguente facoltà dell’Ente di rivendicare il versamento dei contributi in virtù della sentenza già resa sul contratto di lavoro a termine.
La Suprema Corte ha confermato tale pronuncia alla stregua dei seguenti principi:
- la transazione intervenuta tra datore di lavoro e lavoratore è inopponibile all'INPS in quanto il rapporto previdenziale è autonomo e distinto dal rapporto di lavoro per cui l’obbligo contributo in capo al datore di lavoro prescinde dall’adempimento dell’obbligo retributivo nei confronti del lavoratore e da eventuali rinunce del medesimo;
- la transazione siglata successivamente al deposito della sentenza non ne preclude il passaggio in giudicato;
- la conciliazione non impedisce quindi all’ente previdenziale di avvalersi, nei propri rapporti con il datore di lavoro, dell’accertamento operato nel giudizio intercorso tra lavoratore e datore di lavoro;
- la sentenza resa sul rapporto di lavoro ha un’efficacia riflessa sul rapporto previdenziale.