Anche nell' ipotesi di trasferimento adottato in violazione dell’art. 2103, c.c., l’inadempimento datoriale non legittima in via automatica il rifiuto del lavoratore ad eseguire la prestazione. Il rifiuto dovrà sempre essere valutato in relazione alle circostanze concrete, onde verificare se risulti contrario a buona fede: in questo caso, il licenziamento può essere considerato legittimo.
Nel caso di specie una lavoratrice ricorreva giudizialmente contro il licenziamento irrogatole per assenza ingiustificata per non essersi presentata presso la sede aziendale ove era stata trasferita. La sentenza di appello accoglieva solo parzialmente il ricorso, ritenendo che il recesso fosse nel merito fondato seppur affetto da un vizio formale.
I giudici di legittimità hanno confermato quanto stabilito dalla Corte d’Appello e rileva che, in ipotesi di trasferimento adottato in violazione dell'art. 2103 c.c., l’inadempimento datoriale non legittima in via automatica il rifiuto del lavoratore ad eseguire la prestazione lavorativa in quanto, in quanto in caso di contratto a prestazioni corrispettive, trova applicazione il disposto dell’art. 1460 c.c., alla stregua del quale la parte adempiente può rifiutarsi di eseguire la prestazione a proprio carico solo ove tale rifiuto, avuto riguardo alle circostanze concrete, non risulti contrario alla buona fede.
Secondo i giudici di legittimità la verifica della buona fede va essere condotta sulla base delle circostanze concrete, ovverosia tenendo conto della entità dell'inadempimento datoriale in relazione al complessivo assetto di interessi regolato dal contratto e della concreta incidenza del detto inadempimento datoriale sulle fondamentali esigenze di vita e familiari del lavoratore.