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Repechage e mansioni inferiori

L’obbligo di repechage può avere ad oggetto anche le mansioni inferiori: in questo senso si è pronunciata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 31521 del 3 dicembre 2019
27/12/2019
Il lavoratore, licenziamento per giustificato motivo oggettivo (soppressione del posto di lavoro), ha impugnato il recesso lamentando, tra l’altro, la violazione dell’obbligo di repechage con riferimento a mansioni inferiori rispetto a quelle già espletate.
 
I giudici di merito si sono pronunciati in modo difforme. In particolare, nella fase sommaria e di opposizione il Tribunale di Parma ha dichiarato l’illegittimità del recesso per violazione dell’obbligo di repechage. Ad opposta conclusione è giunta la Corte di appello di Bologna che ha ritenuto provata l’insussistenza di posizioni lavorative, anche di livello inferiore, compatibili con la professionalità del lavoratore licenziato e con l’organizzazione aziendale.
 
La Suprema Corte ha confermato la pronuncia di appello delineando i limiti dell’obbligo di repechage con riferimento alle mansioni del lavoratore ed all’assetto organizzativo del datore. Così, i giudici di legittimità hanno precisato che, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’obbligo datoriale di prospettare al dipendente l’assegnazione a mansioni inferiori deve essere valutato considerando, oltre al necessario consenso del dipendente, i limiti dati “dalla ragionevolezza dell'operazione che non deve comportare rilevanti modifiche organizzative ovvero comportanti ampliamenti di organico o innovazioni strutturali” e “dal rispetto della dignità del lavoratore”.
 
La Suprema Corte ha altresì precisato che “non vengono in rilievo, ai fini dell'obbligo del repechage, tutte le mansioni inferiori dell'organigramma aziendale, ma solo quelle che siano compatibili con il bagaglio professionale del prestatore (cioè che non siano disomogenee e incoerenti con la sua competenza) ovvero quelle che siano state effettivamente già svolte, contestualmente o in precedenza”, ciò in considerazione del bilanciamento tra l’interesse del lavoratore ad un riempiego e l’interesse del datore alla determinazione del proprio assetto organizzativo per cui non può imporsi al datore di fornire un'ulteriore o diversa formazione del prestatore per la salvaguardia del posto di lavoro.

 
 




 
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