Il tribunale di Belluno ha confermato la sospensione dal lavoro per due infermieri e otto operatori sociosanitari, dipendenti di due case di riposo, che avevano rifiutato di sottoporsi al vaccino anti-Covid. La notizia della sentenza ha suscitato nell'opinione pubblica un ampio dibattito, travalicando l'ambito dei soli addetti ai lavori. Si tratta in effetti di una sentenza che interviene su un aspetto dei rapporti di lavoro che, data la situazione attuale, è percepito come particolarmente rilevante per tutta la società anche al di fuori della sfera lavorativa. Di fatto, la sentenza stabilisce che il datore di lavoro non solo ha la facoltà (e il diritto) di mettere in ferie i dipendenti che hanno rifiutato il vaccino, ma in base all'articolo 2087 del Codice Civile ha il diritto/dovere di farlo, nell'interesse e a tutela del lavoratore stesso.
Il caso
Lo scorso febbraio, due infermieri e otto OSS (operatori sociosanitari) "no vax" dipendenti di due case di riposo del bellunese hanno rifiutato la somministrazione della prima dose del vaccino Pfizer. Avendo gli interessati ribadito alla direzione delle rispettive RSA il loro netto rifiuto alla vaccinazione, le stesse hanno provveduto a mettere i dipendenti in ferie forzate a sottoporli alla visita del medico del lavoro, il quale ha dichiarato i sanitari "inidonei al servizio" permettendo così che venissero allontanati dalle loro attività senza stipendio, per "impossibilità di svolgere la mansione lavorativa prevista".
Il ricorso
Gli operatori sanitari hanno fatto immediatamente ricorso contro tale provvedimento, richiedendo il reintegro nel posto di lavoro. Il ricorso ha invocato la libertà di scelta stabilita nell'articolo 32 della Costituzione, secondo il quale nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizioni di legge. La posizione delle due RSA è stata che il provvedimento non viola la libertà di scelta vaccinale ma è conseguente con l'obbligo del datore di lavoro di mettere in sicurezza i suoi dipendenti e le parti terze, cioè gli ospiti delle case di riposo.
La sentenza
Il giudice ha ritenuto "insussistenti" le ragioni dei ricorrenti come pure la loro paura di essere licenziati o sospesi dal lavoro. Ciò implica che decisione di vaccinarsi (o la cessazione dell'emergenza) comporterebbe l'immediato reintegro nel posto di lavoro. Il giudice ha sancito: "È ampiamente nota l'efficacia del vaccino nell'impedire l'evoluzione negativa della patologia causata dal virus come si evince dal drastico calo dei decessi fra le categorie che hanno potuto usufruire del vaccino, quali il personale sanitario, gli ospiti delle RSA e i cittadini di Israele dove il vaccino è stato somministrato a milioni di individui". In virtù di queste ragioni la persistenza dei lavoratori nella case di riposo in cui operano è stata ritenuta pericolosa e la messa in ferie forzate legittima.