Temi
 

Qualche riflessione a proposito del “Manifesto per un diritto del lavoro sostenibile”

Riportiamo il contributo del prof. Paolo Tosi al dibattito aperto dalla rivista Lavoro Diritti Europa sul "Manifesto per un diritto del lavoro sostenibile" pubblicato a maggio 2020 da B. Caruso, R. Del Punta e T.Treu
23/10/2020

Qualche riflessione a proposito del “Manifesto per un diritto del lavoro sostenibile” di B. Caruso, R. Del Punta e T.Treu
di Paolo Tosi
 
Numero 3/2020 
 
 
Dico subito che svolgerò le mie brevi considerazioni nel prisma del saggio (vel recensione) dedicato al Manifesto da Franco Carinci .
Ciò per varie ragioni. Anzitutto perché la pigrizia indotta dall’età e acuita dal lungo lockdown mi induce a profittare di solchi già tracciati. Poi perché la sua acutezza ha consentito a Carinci di individuare agevolmente i temi nodali del diritto del lavoro di oggi e di domani trattati nel Manifesto e di sintetizzare abilmente le analisi ivi offerte per il passato ed il presente e le soluzioni prospettate per il futuro. Infine perché nel saggio, immune, come del resto da sempre il suo Autore, dal virus dell’omologazione, ho incontrato, al di là di taluni apprezzamenti certamente meritati, rilievi critici estesi e talora anche severi pur se svolti con tratto prevalentemente garbato, forse frutto esso pure, come la mia pigrizia, dell’età. Rilievi con gran parte dei quali, dico anche questo subito, mi trovo consenziente.
 
Anticipo anche che non mi occuperò dei temi trattati nella parte finale del Manifesto, alcuni dei quali confesso che non sono alla mia portata. Sono consapevole peraltro che il tema dei rapporti tra fonti interne (intese al plurale, a partire dall’inclusione in esse delle sentenze manipolative della Corte costituzionale) e fonte comunitaria è ormai tanto centrale quanto complesso. Per quel che ho sopra detto mi vedo però costretto a rinviare la sua trattazione.
 
1. L’obbligo di formazione -- Carinci muove dall’apprezzamento per lo sforzo degli Autori (condiviso) di ricostruire, anche con strumenti interdisciplinari, il “contesto complessivo di cui un diritto del lavoro sostenibile dovrebbe tener conto” pur se su questa via è sempre incombente il rischio di sconfinamento in un “metodo più che da giurista da scienziato sociale”. Da qui l’avvertenza, preziosa, che il giurista il quale pur “voglia andar oltre la mera interpretazione del diritto vigente”, deve tuttavia sempre rispettare i canoni fondamentali (segnatamente quello letterale e quello sistematico) dell’ermeneutica giuridica.
Il primo rilievo critico di Carinci attiene peraltro ad un profilo di politica del diritto e riguarda la proposta d’introduzione per legge di un obbligo di (informazione) e formazione del singolo lavoratore in capo al datore di lavoro. Si tratta invero di un obbligo incongruo specie a fronte delle caratteristiche di taluni settori economici e di talune tipologie di attività nonché delle ridotte dimensioni di larga parte della nostra imprenditoria. Tutto ciò consiglia di mantenere l’incardinamento della formazione in ambito esterno all’impresa.
 
2. Subordinazione e dintorni – Con riguardo alla fattispecie del lavoro subordinato, classicamente imperniata sulla nozione di subordinazione desunta dagli elementi offerti dall’art. 2094 c.c. e sulle operazioni ermeneutiche della giurisprudenza funzionali a renderli capaci di consentire la qualificazione dei casi concreti, il Manifesto rileva la crisi, solo <apparente>, della norma codicistica. In proiezione però offre una proposta fluida, direi sostanzialmente problematica, a conferma che non può essere esorcizzata la persistenza di una larga zona di collaborazioni refrattarie all’applicazione della disciplina tipica del lavoro subordinato.
Quanto alla necessità della introduzione di tutele fondamentali per quelle collaborazioni resto convinto che la via maestra dovrebbe essere nel senso dell’arricchimento delle tutele già correlate alla fattispecie dell’art. 409, n. 3, c.p.c. con contestuale estensione del loro ambito di applicazione a tutte le collaborazioni coordinate senza subordinazione pur se non formalizzate alla stregua di tale fattispecie (in primis quelle rese sotto il generico ombrello delle c.d. partite iva ovvero con lo schermo di una occasionalità risultante nei fatti pretestuosa) .
Carinci, per parte sua, suggerisce, seppur dubitativamente, lo spostamento della questione qualificatoria sulla definizione contenuta nell’art. 409, n. 3, c.p.c. cosicché tutte le collaborazioni che non siano ad essa riconducibili rientrino nell’ambito della disciplina tipica del lavoro subordinato. Ma gli elementi offerti dalla norma non sono tali, anche dopo la sua integrazione, da modificare i termini nei quali la questione qualificatoria si è fin qui posta se non ricorrendo ad elaborazioni dell’elemento del consenso fantasiose, estranee al sistema del nostro ordinamento giuridico.
Posso quindi serenamente confermare le ricostruzioni e prospettazioni ermeneutiche contenute nei miei numerosi saggi in materia e da ultimo sintetizzate nel commento alla sentenza della Suprema Corte sui riders .
 
3. La causa collaborativa - Il Manifesto propone altresì un ripensamento della causa del contratto di lavoro subordinato mediante la caratterizzazione in senso paritario e partecipativo della collaborazione di cui all’art. 2094 c.c. Ciò tramite l’introduzione di una serie di diritti individuali, in primis alla formazione ed informazione ma anche economici, finalizzati a consentire al lavoratore subordinato <una sua ragionevole cooptazione nel perseguimento degli standard di produzione e produttività dell’impresa> ma senza <un’indefinita espansione della (sua) sfera debitoria”>.
La proposta è accattivante ma, a parte quanto già osservato con riguardo all’obbligo legale di informazione individuale, presuppone, dandolo per scontato, come osserva Carinci, “un percorso riformista di grande respiro” destinato ad investire “un universo del lavoro frammentato negli interessi settoriali, negli accorpamenti para-corporativi, nei momenti conflittuali”.
Senza dire del rischio che fruitrice del cambiamento finisca per essere una aristocrazia di lavoratori della media e grande industria incalzata dal progresso tecnologico. Quindi con l’alimentazione anziché la correzione delle diseguaglianze e con delicate ripercussioni sugli assetti dell’ordinamento sindacale.
 
4. Il ruolo del mercato del lavoro - La questione delle flessibilità/rigidità in entrata ed in uscita e del loro reciproco equilibrio resta naturalmente, per la dottrina giuslavorista, la più spinosa sia quanto alle ricostruzioni del diritto vigente sia quanto alle proposte de iure condendo.
Il Manifesto la affronta nel quadro della particolare attenzione dedicata al mercato del lavoro offrendo un’ampia e proficua serie di indicazioni per il suo virtuoso funzionamento. La prospettiva è quella della creazione ed implementazione di strumenti idonei a favorire la professionalizzazione dei lavoratori e il loro incontro con le offerte di occupazione stabile; occupazione che però da tale mercato non può essere creata.
Soprattutto, il mercato del lavoro non può incidere, correggendolo, sullo squilibrio fisiologico che, anche in sistemi economico-produttivi maturi e in ipotesi ispirati ad un capitalismo sostenibile/solidale, ma pur sempre esposti alle intemperie della concorrenza globale e dei mercati finanziari, vede l’accentuazione (in sede legislativa e giurisprudenziale) delle tutele della stabilità dell’occupazione andare a discapito del suo incremento quando non a determinare la sua riduzione. Ciò, è ovvio, segnatamente in taluni settori produttivi e in certe fasi di sofferenza/crisi delle imprese in dipendenza delle abbondanti fluttuazioni di domanda e prezzi dei beni e servizi da loro prodotti (ma anche acquistati).
La correzione dello squilibrio è stata sempre variamente assicurata dal ricorso al lavoro non stabile, in particolare quello a termine e quello interinale/somministrato. Nel 1997 il c.d. pacchetto Treu segnò una tappa importante nel perseguimento di quell’equilibrio ed ebbe un ruolo fondamentale per la “ripresa” del sistema economico-produttivo.
Il Manifesto tuttavia si limita a generiche censure che direi ideologiche nei confronti della tolleranza e proliferazione delle tipologie di lavoro precario. Ma, come già detto, non è possibile ignorare la fisiologica esistenza di “lavori” che non si prestano ad essere svolti nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato stabile.
 
5. I licenziamenti – Il Manifesto dedica invece particolare attenzione de iure condendo al tema dei licenziamenti pur ritenendolo <non più centrale> ma non volendo cadere <nell’eccesso opposto di ritenerlo irrilevante>.
Su questo terreno è prospettato il superamento dell’attuale dualità di regimi (essendo il discrimen costituito dal 7 marzo 2015) mediante la loro unificazione con modifiche dell’uno e dell’altro ben articolate e puntualizzate, in larga misura condivisibili; modifiche complessivamente orientate nel senso della correzione dell’anzidetto squilibrio.
La dualità di regimi trova spiegazione, notoriamente, nell’ampiezza e robustezza delle resistenze al superamento della disciplina dell’art. 18 L. 300/1970 come riscritto nel 2012 intesa quale sorta di “linea del Piave” almeno per i rapporti correnti alla data della riforma del 2015. Se questa “linea” dovesse cedere, del che è lecito dubitare, appare del tutto condivisibile la prospettazione del superamento della dualità mediante una disciplina unitaria risultante da una commistione dei due regimi.
Nella proposta del Manifesto alla conservazione ed estensione a tutte le aziende soggette all’art. 18 dell’attuale regime sanzionatorio del licenziamento disciplinare ivi previsto, come attualmente risultante dalle operazioni ermeneutiche della giurisprudenza , fa da contraltare l’estensione a tali aziende del regime sanzionatorio esclusivamente economico (12/24 mensilità) sia per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (tranne per quello discriminatorio o ritorsivo), con eliminazione del mantenimento della reintegra affidato all’infelice formula della “manifesta insussistenza del fatto”, sia per il licenziamento collettivo, inclusa l’ipotesi di violazione dei criteri di scelta previsti dall’art. 5 della L. 223/1991.
 
6. L’ordinamento sindacale – In merito a questo capitolo tematico del Manifesto Carinci recupera la sua proverbiale vis polemica: “per quanto riguarda l’aggrovigliata matassa del diritto sindacale, le intenzioni sono ottime, ma non sufficientemente corroborate dalle analisi e dalle proposte”.
Il Manifesto articola questo capitolo lungo quattro scansioni, la prima dedicata alla <crisi di iscrizioni e di rappresentatività delle organizzazioni sindacali tradizionali>, la seconda alle raccomandazioni rivolte al sindacato per superare la crisi, tra cui quella di non guardare <più con diffidenza a un intervento legislativo leggero>, la terza proprio all’auspicata <legge sulla contrattazione collettiva>; l’ultima all’<autonomia collettiva e contenzioso del lavoro>.
 
[...]
 
Il testo integrale del commento si può leggere qui


 
 




 
Questo sito non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n.62 del 2001. Il sito non ha fini di lucro e le immagini pubblicate sono prevalentemente tratte da internet e, pertanto, considerate di pubblico dominio; qualora la loro pubblicazione violasse eventuali diritti d'autore, vogliate comunicarlo a amministrazione@tosieassociati.it. Saranno immediatamente rimosse.