Espressioni ingiuriose verso la propria azienda postate sui social network sono passibili di licenziamento per giusta causa. Nel caso preso in considerazione dalla Suprema Corte, una lavoratrice aveva pubblicato sulla propria bacheca virtuale di Facebook il commento “mi sono rotta i coglioni di questo posto di merda e per la proprietà” ed aveva inoltre prospettato il ricorso a malattie asintomatiche in caso di dissensi di vedute con il datore di lavoro.
Il licenziamento irrogato dal datore di lavoro per il post diffamatorio è stato ritenuto legittimo dai giudici di merito e di legittimità.
In particolare, la Corte di appello ha rilevato che:
a) la pubblicazione del post su Facebook integra il reato di diffamazione, pacificamente ritenuto giusta causa di recesso;
b) la gravità della condotta era supportata dalle prospettate malattie asintomatiche, trattandosi di lavoratrice caratterizzata da frequente morbilità;
c) non era configurabile alcuna esimente o giustificazione dovuta a stress lavorativo.
Tale valutazione è stata confermata dalla Suprema Corte sia in relazione al profilo soggettivo della condotta sia in relazione alla proporzionalità della sanzione.
Quanto al profilo soggettivo, i giudici di legittimità hanno ritenuto corretta la valutazione di intenzionalità della condotta effettuata dai giudici di merito sul presupposto dell’assenza di ogni ravvedimento da parte della lavoratrice dopo la pubblicazione del post e del prospettato ricorso a malattie asintomatiche.
Quanto alla gravità della condotta, la Corte ha ritenuto che “la condotta di postare un commento su Facebook realizza la pubblicizzazione e la diffusione di esso, per la idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone, comunque, apprezzabile per composizione numerica, con la conseguenza che, se, come nella specie, lo stesso è offensivo nei riguardi di persone facilmente individuabili, la relativa condotta integra gli estremi della diffamazione e come tale correttamente il contegno è stato valutato in termini di giusta causa del recesso, in quanto idoneo a recidere il vincolo fiduciario nel rapporto lavorativo”.