Con la sentenza n. 209 del 24 novembre 2023, la Corte Costituzionale dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 103, commi 5 e 6, del decreto legge 34/2020, sollevata dal Tar dell’Umbria.
Il pronunciamento riguarda la possibilità per i datori di lavoro di presentare domanda per concludere un contratto di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale o per dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare con cittadini italiani e stranieri in Italia prima dell’8 marzo 2020 e ancora presenti dopo questa data.
La Corte sostiene che la previsione di un reddito minimo del datore di lavoro assolve alla funzione di prevenire elusioni del sistema di emersione del lavoro irregolare. Viene assicurata la sostenibilità del costo del lavoro per garantire il rispetto dei diritti retributivi e contributivi del lavoratore e per evitare domande strumentali alla regolarizzazione di rapporti fittizi e con il solo scopo di far conseguire un titolo di soggiorno allo straniero.
Non è ravvisabile alcuna intrinseca contraddittorietà tra la complessiva finalità perseguita dal legislatore – che attiene «tanto alla tutela del singolo lavoratore quanto alla funzionalità del mercato del lavoro in un contesto d’inedita difficoltà» (sentenza n. 149 del 2023) – e la norma censurata, la quale dunque non lede il principio di ragionevolezza.
In particolare, la previsione di un reddito minimo del datore di lavoro, inoltre, assolve alla funzione di prevenire elusioni del sistema di emersione del lavoro irregolare, assicurando la sostenibilità del costo del lavoro per garantire il rispetto dei diritti del lavoratore sotto il profilo retributivo e contributivo, nonché per evitare domande strumentali alla regolarizzazione di rapporti lavorativi “fittizi”, volti solamente a far conseguire allo straniero un titolo di soggiorno. Non deve trascurarsi, infatti, che l’emersione del lavoro “nero”, nel caso di cittadini stranieri, si intreccia alla regolarizzazione della loro presenza in Italia, come chiarito nella recente sentenza n. 149 del 2023.