Con l’ordinanza n. 26618 del 2 ottobre 2025, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul tema dei tempi di intervento delle organizzazioni sindacali nelle azioni ex art. 28 dello Statuto dei lavoratori, ribadendo un principio di grande rilievo: in assenza di un termine di decadenza fissato dal legislatore, spetta al sindacato scegliere liberamente quando agire in giudizio per far cessare un comportamento antisindacale.
La vicenda trae origine dal ricorso presentato da un’organizzazione sindacale contro una società che aveva sanzionato con tre ore di multa i lavoratori partecipanti a uno sciopero del 2 ottobre 2018. L’associazione aveva impugnato tale decisione ritenendola una condotta antisindacale. Tuttavia, la Corte d’Appello aveva respinto il ricorso, giudicandolo tardivo e privo di interesse, poiché proposto a distanza di tempo rispetto alle sanzioni disciplinari contestate.
La Cassazione ha invece ribaltato questa conclusione. Secondo i giudici di legittimità, l’attualità della condotta antisindacale non viene meno con l’esaurirsi del singolo atto, poiché gli effetti di un comportamento di questo tipo possono prolungarsi nel tempo: da un lato per la sua valenza intimidatoria nei confronti dei lavoratori, dall’altro per la situazione di incertezza e timore che può determinare, limitando di fatto la libertà sindacale.
Ne consegue che il sindacato mantiene piena autonomia nel valutare i tempi e le modalità della propria azione giudiziaria, potendo agire anche a distanza di tempo, purché sussistano ancora gli effetti lesivi della condotta del datore di lavoro.
Sulla base di tali considerazioni, la Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’organizzazione sindacale, cassando con rinvio la sentenza d’appello e riaffermando con forza che la difesa della libertà e dell’attività sindacale non può essere vincolata da rigidi termini temporali, ma deve potersi esercitare ogniqualvolta la condotta datoriale continui a produrre effetti lesivi.