Le comunicazioni informali inviate dal lavoratore tramite applicazioni di messaggistica istantanea, come WhatsApp, non possono essere considerate prove idonee a dimostrare la particolare gravità della malattia e non possono, in alcun modo, sostituire la certificazione medica prevista dal contratto collettivo di riferimento.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 26956 del 2025, confermando la legittimità del licenziamento intimato al dipendente per superamento del periodo di comporto, in assenza di adeguata documentazione sanitaria a sostegno della propria assenza prolungata.